Il settore degli smartphone ricondizionati, dispositivi di seconda mano sottoposti ad una cura ringiovanente, sta conquistando il mercato della telefonia. Nel 2019 hanno registrato un giro di affari pari a 206,7 milioni di euro e le stime di settore prevedono che entro il 2023 ne saranno venduti per oltre 332 milioni (dati di Idc, International data corporation). I vecchi smartphone, esaminati e ringiovaniti, sono rivenduti ad un prezzo ribassato e con una speranza di vita maggiore: chi li compra li tiene più a lungo, inserendo meno dispositivi nel circolo, spesso criminale, dei rifiuti elettronici: 44,3 milioni di tonnellate solo nel 2019. Con un ricondizionato si riduce anche l‘80% del debito ambientale legato alla sua produzione, soprattutto di materie prime: per ogni pezzo nuovo si estraggono più di 200 kg di materiali rocciosi, favorendo lo sfruttamento criminale e distruggendo gli ecosistemi locali. La ricerca di metalli preziosi come il coltan o il cobalto, necessari per ottimizzare il consumo della corrente elettrica e per realizzare la batteria, ricorre ad una forza lavoro in condizioni di schiavitù, spesso anche di minori. Altri materiali come lo zinco, il piombo ed il rame, sono controllati da milizie armate, che acquistano armi con il ricavato ottenuto. Il risultato è che ogni cellulare ricondizionato emette l’84% in meno di CO2 e 185 grammi in meno di rifiuti tecnologici.
“Ogni anno in Italia cambiamo circa 10 milioni di smartphone, che contengono una serie di materiali che devono essere riciclati”, spiega Giorgio Arienti, direttore dell’Erion Compliance Organization. Lo smartphone ricondizionato si pone come valida alternativa non solo in termini ambientali, ma anche economici: riciclare una tonnellata di smartphone porta un valore di oltre quattromila euro.