Con il 67% dei voti il Partito Socialista Unito del presidente Nicolas Maduro ha vinto le elezioni riconquistando la maggioranza nel Parlamento del Venezuela. Le votazioni si sono svolte senza incidenti ma sono state segnate dalla forte astensione, con l’affluenza ferma al 31% degli aventi diritto. Parte dell’opposizione aveva invitato al boicottaggio sostenendo che non ci fossero garanzie che le elezioni si sarebbero svolte senza brogli, un’idea sostenuta anche dagli Usa. Tuttavia le elezioni sono state monitorate da un gruppo di circa 300 osservatori indipendenti guidati dall’ex premier spagnolo Zapatero e al momento non sono stati rilevati brogli. Nonostante questo il segretario di stato statunitense Mike Pompeo ha definito le elezioni “una frode e una farsa”. Da ormai 20 anni gli Usa cercano di rovesciare il sistema di governo costruito dalla sinistra in Venezuela, il cosiddetto chavismo (dal nome di Hugo Chavez primo presidente socialista del Venezuela, morto nel 2013), che si basa su nazionalizzazioni, gestione sovrana delle ricchezze del paese (innanzitutto petrolio) sottratte al controllo delle multinazionali e accesso gratuito dei cittadini a educazione e sanità.
Nicolas Maduro nel suo primo messaggio dopo le elezioni ha chiesto alle opposizioni di tornare a collaborare per chiedere al nuovo presidente Usa, Joe Biden, di revocare le sanzioni economiche che colpiscono il Venezuela e che stanno mettendo a dura prova l’economia del paese. Difficile che ciò accadrà. Di certo, per ora, le elezioni segnano la probabilissima fine politica di Juan Guaidò, il leader dell’opposizione sul quale gli Usa (e gli alleati europei) avevano scommesso per rovesciare Maduro. Guaidò si era autoproclamato presidente nel 2018 e aveva ripetutamente cercato di organizzare manifestazioni di massa e invitato senza mezzi termini i vertici militari ad attuare un colpo di stato violento contro Maduro, fallendo in modo evidente in entrambi i propositi.