Diversi governi hanno utilizzato la pandemia come pretesto per ridurre i diritti civili (parola, assemblea pacifica e associazione). L’87% della popolazione mondiale viveva già in nazioni considerate “chiuse”, “represse” o “ostruite” ma la cifra è aumentata del 4% rispetto al pre pandemia. Lo ha affermato Civicus Monitor, un’alleanza di gruppi della società civile, che ha valutato 196 Paesi. Secondo il rapporto, i governi, per limitare le libertà civiche, hanno utilizzato la forza, la detenzione, la censura e le molestie a giornalisti/difensori dei diritti umani.
Il gruppo ha classificato le libertà fondamentali come “chiuse”, “represse”, “ostruite”, “ristrette” o “aperte”, sulla base di una combinazione di diversi dati. Più di un quarto dei Paesi sono stati valutati come chiusi (Cina, Arabia Saudita, Turkmenistan…). Qui lo Stato, o chi per lui, imprigiona e uccide coloro che provano ad esercitare i propri diritti. 11 stati sono stati declassati; tra questi Stati Uniti, Costa Rica, Costa d’Avorio, Iraq, Filippine e Slovenia. In Europa, le mosse “autoritarie” dei governi hanno ridotto le libertà di Ungheria, Polonia, Slovenia e Serbia. In Africa occidentale, 4 paesi, Costa d’Avorio, Guinea, Niger e Togo, sono stati declassati da “ostruiti” a “repressi”. Dei 196 paesi valutati per lo studio, solo 2, Repubblica Democratica del Congo e Sudan, hanno migliorato il proprio rating da “chiuso” a “represso”.