La vicenda della “rifiuti connection” sull’asse Italia – Tunisia ha portato dall’allontanamento dal governo del ministro dell’ambiente tunisino, Mustapha Aroui e, poche ore dopo, al suo arresto in casa sua a Tunisi. Aroui era coinvolto in un traffico illegale di 120 tonnellate di rifiuti, tra cui materie plastiche, rifiuti ospedalieri, centraline elettriche e scarti industriali, in cambio di circa 48 euro per ogni tonnellata importata. In precedenza, 70 container erano stati importati da una società italiana chiamata SRA Campania. I restanti 200 non arrivarono mai a destinazione perché bloccati presso il porto di Sousse. Il Ministero tunisino sebbene non abbia smentito l’esistenza del contratto incriminato, riferisce di non aver concesso nessun tipo licenza alla società tunisina coinvolta.
L’esportazione dei rifiuti denunciati è vietata dal diritto ambientale internazionale poiché questi di origine urbana con probabile presenza di tracce di mercurio e zinco. Il Paese nordafricano fa parte di una serie di convenzioni internazionali, oltre che misure nazionali, che teoricamente regolano le attività di raccolta, trasporto e gestione dei rifiuti. Hamdi Chebaane, esperto di gestione dei rifiuti e membro di una coalizione della società civile, Tunisie Verte, ha dichiarato che “i rifiuti che si trovano attualmente nei contenitori sequestrati sono rifiuti domestici, che sono classificati come pericolosi. Non dovrebbero essere esportati nei Paesi in via di sviluppo che non sono in grado di trattarli“.