Potremmo mangiare carne “coltivata” prima di quanto pensiamo. Il 3 novembre, vicino a Tel Aviv, è stato inaugurato un ristorante chiamato The Chicken. Il luogo ha un aspetto ordinario, tranne che per un muro di vetro nero, attraverso il quale si può osservare il laboratorio dove persone in camice lavorano tra i bioreattori. È lì che producono il pollo “coltivato”: cellule vive del vero animale, allevate in una soluzione con i nutrienti necessari, che raddoppiano di volume ogni giorno. Niente contaminazioni batteriche, ormoni, antibiotici o terreni usati per coltivare mangimi e niente 130 milioni di polli macellati ogni giorno. Al momento SuperMeat, l’azienda che collabora con il ristorante, sta regalando (solo a chi riceve un invito) e non vendendo il pollo “coltivato”, poiché l’autorità di regolamentazione israeliana non ne ha ancora approvato la vendita.
Sarà questo il futuro. Tra le principali cause di emissione di gas serra, infatti, c’è la produzione della carne e per raggiungere gli obbiettivi stabiliti dall’accordo di Parigi, serve trovare una soluzione per limitare le emissioni. Per questo motivo, molte tra le start-up più promettenti stanno attirando grandi investimenti dai colossi dell’alimentazione, come la Cargill.
Tra i contro di questa transizione globale il prezzo della produzione: ogni hamburger “coltivato” costa circa 35 dollari (28,7 euro). Un prezzo elevato, ma già più accessibile rispetto ai 300.000 dollari del primo hamburger di manzo creato nel 2013.