Domenica sera una pioggia di razzi sono atterrati nel complesso della Zona Verde di Baghdad, prendendo di mira l’ambasciata degli Stati Uniti. Tre missili sono finiti nei pressi del compound causando danni di lieve entità. Alcune testimonianze affermano che in un altro edificio è tornato in funzione il sistema antiaereo di cui è dotata l’ambasciata, il C-Ram. Sotto accusa, gruppi sciiti sostenuti dall’Iran e attivi in Iraq: il segretario di Stato Usa, Mike Pompeo, ha accusato esplicitamente “le milizie sostenute dall’Iran”.
Mercoledì, i principali funzionari della sicurezza nazionale degli Stati Uniti hanno concordato una serie di opzioni da presentare al presidente Donald Trump volte a scoraggiare qualsiasi attacco al personale militare o diplomatico statunitense in Iraq. “Qualche sano amichevole consiglio all’Iran: se un americano dovesse essere ucciso, riterrò l’Iran responsabile. Pensateci”. I tweet di Trump arrivano a pochi giorni da quando sarà passato un anno dall’uccisione, il 3 gennaio scorso, del generale iraniano Qassem Soleimani in un attacco aereo americano in Iraq. E dopo le tensioni innescate dall’uccisione in Iran lo scorso novembre dello scienziato nucleare iraniano Mohsen Fakhrizadeh.
A ottobre, una serie di gruppi di milizie aveva annunciato di aver sospeso gli attacchi missilistici contro le forze statunitensi. Un attacco missilistico contro l’ambasciata degli Stati Uniti il 18 novembre è stato un chiaro segno che le milizie non avrebbero rispettato l’accordo. Ora, gli Stati Uniti, stanno valutando la possibilità di chiudere l’ambasciata a Baghdad.