Prosegue l’ondata di manifestazioni e proteste contro le nuove leggi sull’agricoltura, approvate lo scorso 27 settembre dal governo del premier indiano Narendra Modi. Protagonisti sono gli agricoltori indiani di tutto il Paese che, esasperati da negoziati inconcludenti col governo (è attualmente in corso a New Delhi il settimo round), stanno attivamente colpendo le proprietà delle grandi aziende dell’agrobusiness, vere beneficiarie della nuova azione legislativa. Nello Stato settentrionale del Punjab, cuore della produzione agricola indiana, gli agricoltori avrebbero così boicottato grandi gruppi come Adani e le Reliance Industries, mettendo sotto assedio uno dei maggiori depositi di olii della prima e tagliando i cavi di alimentazione energetica in circa 1500 ripetitori delle telecomunicazioni appartenenti alla seconda. I leader dei diversi sindacati agricoli negano il loro coinvolgimento nella distruzione dei ripetitori, da cui sarebbero danneggiati anche i servizi telefonici.
Nel mirino delle manifestazioni sono le tre leggi di liberalizzazione in materia di agricoltura, definite “leggi nere” dagli agricoltori indiani che ne esigono la revoca perché permetterebbero alle grandi aziende di sfruttarli, acquistando i loro raccolti senza rispettare i prezzi minimi garantiti. Il provvedimento legislativo varato da Modi vorrebbe non limitare più i prodotti degli agricoltori agli ingrossi regolati del governo per dare il via agli investimenti privati in un settore, quello agricolo, del quale vive oltre metà della popolazione indiana (più di 1,3 miliardi di persone) e genera 1/3 del PIL nazionale.