Tra il 2010 e il 2020, il Sud America ha perso una media di 2,6 milioni di ettari di foresta all’anno. Secondo quanto riportato dall’Onu, è come se il continente avesse rinunciato a un’area delle dimensioni dell’Ecuador, nell’arco di un solo decennio. Non è un dato negativo solo per l’ambiente. In posti in cui il territorio è tutto, sradicarne una parte significa generare un’ondata di violenze. Decine di leader indigeni sono stati ammazzati dagli invasori della terra e trafficanti di droga, nel tentativo di difendere il proprio ambiente. Centinai sono stati intrappolati, minacciati e picchiati. Molte delle comunità sudamericane dipendono dalla foresta per sopravvivere. Strappargli di mano la terra per destinarla, ad esempio, alle coltivazioni di coca, significa condannarli alla fame.
Anche se spesso il governo interviene in loro difesa, gli abitanti del luogo hanno riferito che gli spray usati per sradicare i raccolti illegali, ad esempio, hanno recato danni alle fattorie vicine. Da un punto di vista normativo, pesa per le comunità indigene di tutto il mondo la mancanza di una proprietà fondiaria ufficiale. Questo li rende vulnerabili e spesso impotenti dinanzi alla deforestazione forzata. Sarebbe opportuno, invece, fornire loro assistenza e protezione, perché gli indigeni rappresentano una sorta di barriera, ostacolo alla deforestazione. Basti pensare che negli ultimi anni l’area indigena adibita a coca e marijuana è cresciuta del 22% solo in Perù.