L’intensificarsi di controlli sempre più serrati sui contenuti postati dai diversi utenti è un fenomeno di rilevanza non trascurabile sulle principali piattaforme social, Facebook e Twitter in primis (basti pensare al recente caso Trump). Il social Parler è andato in controtendenza, trovando nel suo motto “libertà di parola” le ragioni di un esplosivo quanto breve successo: se ieri mattina figurava come l’app più scaricata degli iPhone d’oltreoceano, al tramonto era già costretta a chiudere i battenti sugli store. Un’impennata di download, schizzati in una settimana da 4,5 milioni a ben 7,6 milioni è un traguardo incredibile per un’applicazione inizialmente trascurata: le ragioni di una così improvvisa popolarità sarebbero logicamente riconducibili ad un travaso dei gruppi sostenitori dell’ex Presidente Trump, messi al bando su Facebook e Twitter per aver diffuso storie su presunti brogli elettorali ed alla ricerca di uno spazio dove proseguire la propaganda Pro-Trump. Sul Parler è così fiorito un campo di post violenti, fake news, teorie complottiste che Google ed Apple hanno tagliato alla radice, estromettendo la piattaforma dai propri store.
La decisione dei due colossi, cui si aggiunge il negato accesso al servizio di web hosting su AWS da parte di Amazon, ha acceso una battaglia politica: se i big della rete ritengono necessari tali provvedimenti per una piattaforma reputata incapace di esercitare controlli adeguati ai propri contenuti, Parler li accusa di scelte anticoncorrenziali.