Già all’inizio della pandemia erano emerse le prime ricerche che indagavano il nesso tra carenza di vitamina D e lo sviluppo di forme aggressive di Covid-19, un’ipotesi che trova sempre più spazio. Negli ospedali di Newcastle i medici hanno trattato 134 pazienti ricoverati monitorando i livelli di vitamina D e somministrandone dosi orali ai pazienti che ne erano carenti, tra questi solo tre sono deceduti e tutti avevano almeno 90 anni: un dato migliore rispetto alla media. Contemporaneamente, uno studio francese ha suggerito che l’assunzione regolare di vitamina D è “associata a Covid-19 meno grave e a migliori tassi di sopravvivenza”.
Solo una ricerca spagnola si è avvicinata a dimostrare in modo scientificamente incontrovertibile che bassi livelli di vitamina D hanno un ruolo fondamentale nel causare maggiore mortalità tra i pazienti Covid: 50 positivi hanno ricevuto una dose elevata di vitamina D, mentre altri 26 non hanno ricevuto il nutriente. Tra i primi solo un paziente è finito in terapia intensiva e successivamente è guarito, tra i secondi la metà hanno avuto bisogno della terapia intensiva e due sono deceduti. Un articolo pubblicato sul quotidiano inglese The Guardian ha messo in luce gli studi ed ospitato l’opinione di diversi ricercatori che lamentano come non vengano finanziate ricerche sulla vitamina D nella prevenzione e nella cura delle forme più aggressive del virus.