La controversa asta per le trivellazioni in Alaska è andata deserta: il petrolio non attira più. Giunge decisa quanto inaspettata la vittoria dell’ambiente sull’industria americana degli idrocarburi, che non sembra poi essere così lucrativa nonostante le aspettative di alti guadagni. L’asta per le concessioni esplorative nell’Arctic National Wildlife Refuge ha infatti raccolto offerte soltanto per 12 dei 22 blocchi resi disponibili, circa la metà della superficie totale. Assenti le maggiori compagnie e gruppi petroliferi, solo alcune le società private che hanno mostrato interesse nelle concessioni acquisendo due blocchi. I 9 restanti sono stati vinti dallo stesso governo dell’Alaska a nome di un’agenzia statale molto criticata dagli ambientalisti, l’Alaska Industrial Development and Export Authority. I blocchi invenduti sono quindi stati ritirati dall’asta, che si è conclusa con una vendita di appena 14.4 milioni di dollari, un risultato ben lontano dalle cifre previste. Le ragioni di un tale ribaltamento sono diverse: minori guadagni dell’industria petrolifera, rifiuto di finanziamenti in trivellazioni dalle banche, opposizioni ambientaliste ed autoctone, i timori per una politica più restrittiva nel settore. In campagna elettorale, Biden ha infatti promesso di tutelare il rifugio artico e di impedire la concessione di nuovi permessi per petrolio o gas.
L’Arctic National Wildlife Refuge ospita alcune popolazioni di nativi americani e riveste un importante ruolo ecologico a livello di habitat, essendo terra di migrazione di caribù e orsi polari.