“Ritirate la tassa sui contenuti o blocchiamo il servizio”: ecco la minaccia mossa di recente al governo australiano, che corona un’escalation di messaggi e misure legislative. La dichiarazione al sapore di ricatto proviene da Google: il gruppo statunitense bloccherà il suo motore di ricerca in Australia in caso di approvazione delle nuove regole relative all’utilizzo dei contenuti prodotti dai media. Come già riferito ai 19 milioni di utenti australiani, un’ipotetica approvazione delle stesse comporterebbe ulteriori limiti anche sulla piattaforma YouTube, proprietà della casa madre di Google Alphabet. La legge centro della polemica obbligherebbe i giganti della tecnologia a negoziare il prezzo dei contenuti prodotti da editori ed emittenti locali per includerli nei risultati di ricerca o nei feed di notizie. Nel caso in cui l’accordo si riveli inconcludente, sarebbe un arbitro nominato del governo a stabilirne il prezzo. Le obiezioni mosse da Google, peraltro supportate dagli Stati Uniti, sono state percepite come comportamento minaccioso ed anti-democratico dalle autorità australiane, che rivendicano il diritto a stabilire le proprie leggi.
L’iniziativa australiana, nata per bilanciare lo squilibrio contrattuale tra i mass media tradizionali e le grandi piattaforme digitali, è seguita con attenzione su scala mondiale perché comune è la condizione in cui vertono i media dell’informazione: nel nuovo sistema digitale, le entrate pubblicitarie non sono più incassate interamente, ma vanno spartite con le grandi aziende.