Sono trascorsi dieci anni dalla mobilitazione popolare che ha portato alla caduta del presidente Hosni Mubarak, al potere per 30 anni. Le proteste, evolute in una vera e propria “rivoluzione”, scoppiarono il 25 gennaio 2011 in una delle piazze centrali del Cairo. I cittadini, che si ritrovarono al centro degli scontri con le forze dell’ordine, scesero in piazza chiedendo giustizia sociale, libertà e dignità. L’11 febbraio successivo, Mubarak si dimise, ma i cittadini egiziani evidenziano tuttora, come a dieci anni di distanza, non sia cambiato nulla. Le autorità egiziane hanno intensificato le misure di sicurezza, per evitare che la popolazione egiziana scenda in piazza per la commemorazione dell’anniversario. Le forze dell’ordine hanno dato il via a campagne di arresti e perquisizioni per contrastare il terrorismo e il suo finanziamento, proteggere le proprietà pubbliche e private e preservare la vita dei cittadini.
La Banca mondiale ha stimato che 3.444.832 egiziani hanno lasciato il Paese Nord-africano nel 2017, quasi 60.000 in più rispetto al 2013. Human Rights Watch ha calcolato che nel 2019 il numero di prigionieri politici, detenuti in Egitto, è salito a 60.000. “I detenuti sono oggetto di discriminazione, sulla base della propria condizione socio-economica, mentre sono numerosi i prigionieri detenuti esclusivamente per aver difeso i propri diritti o per motivi politici, a cui viene negata non solo l’assistenza sanitaria, ma anche cibo e visite da parte dei propri familiari” ha affermato Philip Luther, direttore del dipartimento per la ricerca e la sensibilizzazione per il Medio Oriente e Nord Africa.