In Bosnia ed Erzegovina prosegue l’espansione della centrale a carbone di Tuzla. Si tratta di uno dei più grandi impianti industriali dei Balcani e tra le principali fonti di inquinamento del Paese. Tutto accade alle porte dell’Unione Europea e anche all’interno, perché in questa storia c’entra anche l’Italia. Nel 2019 il gruppo italiano Intesa Sanpaolo ha fatto parte di un consorzio di istituti di credito europei che ha finanziato il 15% dei costi di costruzione di Tuzla. Un ammontare di 74 milioni di euro, mentre il restante 85% è a carico di China Exim Bank. Anche se nell’aprile 2020 Intesa Sanpaolo ha annunciato che non avrebbe più finanziato nuovi progetti relativi al settore del carbone, il suo precedente aiuto ha notevolmente contribuito a far nascere, pochi mesi prima, uno dei progetti più devastanti in corso in Europa.
Secondo l’inchiesta dell’associazione Re:Common, l’espansione dell’impianto, che comprende anche una miniera a cielo aperto e una grossa discarica ormai al massimo della sua capienza, rientra nell’agenda della Bosnia ed Erzegovina. Il paese, insieme alla Serbia, ha in programma di costruire nuove centrali a carbone, nonostante molte nazioni (anche vicine) le stiano chiudendo. Da anni gli abitanti protestano contro l’inquinamento generato dall’impianto, che secondo uno studio realizzato dalla coalizione Europe Beyond Coal, avrebbe causato almeno 274 morti premature e oltre 500 casi di bronchite tra i bambini di Tuzla.