Lunedì 1 febbraio in Myanmar è avvenuto un colpo di Stato, proprio quando il parlamento avrebbe dovuto riunirsi per la prima volta dopo le elezioni. L’esercito ha arrestato Aung San Suu Kyi – leader del partito che ha la maggioranza in parlamento e capo de facto del governo – assieme ad altri esponenti del partito, e ha dichiarato lo stato di emergenza per un anno. I poteri legislativi, esecutivi e giudiziari sono stati trasferiti al capo delle forze armate, Min Aung Hlaing. L’ex generale Myint Swe ricoprirà la carica di presidente ad interim. Le linee telefoniche nella capitale Naypyitaw e nella città di Yangon sono state interrotte, così come le trasmissioni della televisione di Stato. La ragione del colpo di Stato è che l’esercito sostiene che ci siano stati brogli elettorali a favore del partito di Aung San Suu Kyi.
Le elezioni si erano tenute lo scorso 8 novembre. La Lega nazionale per la democrazia (NLD), il partito di Aung San Suu Kyi, aveva vinto con ampio margine (368 seggi su 434). La leader è molto apprezzata dalla popolazione, ma criticata a livello internazionale per aver negato l’esistenza del genocidio della minoranza musulmana dei Rohingya. Il principale partito di opposizione, il Partito per la solidarietà e lo sviluppo dell’Unione (USDP), sostenuto dai militari, aveva ottenuto solo 24 seggi. L’esercito aveva contestato fin da subito la regolarità delle elezioni.