In conseguenza alla diminuzione drastica del consumo e della produzione del nocivo olio di palma, molte aziende thailandesi si sono indirizzate verso la produzione dell’olio di cocco, incrementando le vendite del 400% in poco tempo. In un’indagine iniziata nel 2015, l’associazione animalista statunitense PETA (People of the Ethical Treatment of Animals) ha scoperto che in Thailandia più del 90% della produzione derivata dalla raccolta delle noci di cocco, proviene dallo sfruttamento dei macachi nemestrini. Le scimmie vengono sottoposte fin da piccole a durissimi addestramenti per riuscire ad arrampicarsi e raccogliere più di 1000 noci di cocco al giorno, quando un uomo non arriva a 100. Obbligate in strette gabbie, incatenate, private dei canini per renderle innocue e costrette a lavorare senza sosta fino allo sfinimento o alla morte dovuta ai maltrattamenti, alla fame e alle cadute.
Dopo varie proteste e segnalazioni il governo tailandese, non riuscendo a sradicare l’antica usanza dello sfruttamento dei macachi, si è visto costretto, nel 2019 a penalizzare l’intero commercio del latte di cocco con un conseguente crollo delle vendite. Con un accurato sistema di tracciamento dei prodotti, sulle confezioni importate dalla Thailandia dovrà essere presente la scritta ”from monkey-free plantations”. Ad oggi circa 30.000 negozi nel mondo hanno smesso di acquistare merce derivata dal cocco prodotto in Tailandia, una forma di boicottaggio che ha contribuito in maniera decisiva a ridurre drasticamente questa barbarie.