L’etnia e la classe sociale di appartenenza sono fattori di rischio che aumentano notevolmente l’esposizione ai rischi pandemici, a dimostrarlo sono ormai diversi studi scientifici. Negli Usa se la mortalità tra i bianchi è di 1 su 825, tra gli afroamericani diventa 1 su 645 e tra gli indigeni 1 su 475. Allo stesso modo, uno studio commissionato dal governo britannico ha certificato che oltremanica i rischi di morire di coronavirus sono più che doppi per un inglese di origine pachistana rispetto ad un connazionale bianco. La stessa disuguaglianza che colpisce le persone a basso reddito e che provengono dai quartieri popolari.
Dati che rendono l’idea di come non sia vero che di fronte al virus tutti siano uguali, e che hanno diverse spiegazioni. La più immediata è che le persone povere, spesso appartenenti alle minoranze, vivono sovente in abitazioni anguste, dove è difficile che un contagiato possa effettivamente rispettare la quarantena. Inoltre, sia per l’alimentazione spesso più povera e basata su prodotti industriali a basso costo, sia per ragioni naturali, gli appartenenti alle minoranze hanno spesso livelli più bassi di vitamina D, fattore che si è dimostrato importante nel superare il contagio con meno probabilità di sviluppare i sintomi della malattia. Fattori di rischio sanitario che si aggiungono a quelli socio-economici: poveri e minoranze sono infatti anche coloro che hanno perso maggiormente il lavoro nella crisi.