Sono passati due anni e mezzo dal crollo del ponte Morandi di Genova, poco meno dalla decisione – guidata dal Movimento 5 stelle all’epoca al governo con la Lega – di revocare la concessione autostradale ad Atlantia Spa, l’azienda che fa capo alla famiglia Benetton. Inizialmente i 5S avevano assicurato che avrebbero proceduto alla revoca coatta dell’autorizzazione e i Benetton non avrebbero preso nemmeno un euro. Tuttavia ben presto la questione si è trasformata in una trattativa per rilevare le azioni a prezzo di mercato, o poco meno. Obiettivo divenne acquisire Autostrade a 4 miliardi e nazionalizzarla, creando una public company statale. Ora invece il cda di Atlantia ha rifiutato l’offerta di 8 miliardi della Cassa Depositi e Prestiti del ministero dell’economia, per la cessione del l’88% di Autostrade per l’Italia ritenendo l’offerta inferiore alle aspettative.
A far crollare la trattativa è stato l’azionista di minoranza Spinecap, ritenendo che la valutazione non era coerente né in termini economici né contrattuali e non poteva essere inferiore a 12 miliardi. In particolar modo viene considerata inaccettabile la clausola di indennizzo valutata 1,5 miliardi poiché, come rende noto Atlantia, sono stati pagati dall’azienda 800 milioni per i danni causati dal crollo e per la costruzione del nuovo ponte. Si è creato così un niente di fatto, mettendo Atlantia della in una situazione di vantaggio e difficilmente saranno accettate trattative più basse.