Più di 60 gruppi di difesa dei diritti civili tra cui Amnesty International e Human Rights Watch hanno scritto una lettera di protesta contro la recente proposta di legge della Commissione Europea sui contenuti digitali di matrice terroristica. La legge, presentata il 16 marzo del 2021, impone alle piattaforme (Google, Facebook e Twitter) di rimuovere eventuali contenuti di natura terroristica nell’arco di un’ora dalla loro comparsa. Questa proposta, che verrà votata ad aprile al Parlamento Europeo, potrebbe mettere in pericolo alcune libertà fondamentali di ogni cittadino, quali le libertà di espressione e di opinione.
Dal 2013 è in corso una discussione, a livello europeo, sulla necessità di azioni forti e concertate contro il terrorismo. Gli attacchi del 2015 ne hanno acuito il senso di urgenza. Dietro la proposta di legge, maturata nel corso degli ultimi tre mesi ma esito di questa lunga discussione, c’è la consapevolezza che molta della radicalizzazione avviene oggigiorno su internet, tra piattaforme e social media. Istruzioni su come fabbricare esplosivi, streaming live di attacchi o altre attività terroristiche, ma anche localizzazione e targeting di soggetti suscettibili a tali messaggi: tutte queste attività si svolgono ormai quasi esclusivamente su internet. Per quanto riguarda i materiali di matrice terroristica, la Commissione Europea li definisce come materiali che incitano il terrorismo o mirano al reclutamento e preparazione di terroristi.
Le preoccupazioni dietro a questa proposta di legge si riferiscono principalmente al fatto che il processo di rimozione dei contenuti sospetti sarebbe completamente automatizzato, attraverso l’uso di applicazioni d’intelligenza artificiale, algoritmi e filtri. Secondo i gruppi di difesa dei diritti, tale moderazione automatizzata non è adeguata. Potrebbe penalizzare utenti innocenti, ma anche i contenuti ambigui, magari di satira. Un’altra fonte di preoccupazione riportata nella lettera è la totale assenza di controllo giudiziario sull’intero procedimento, necessario a garantire che i criteri di rimozione di contenuti siano oggettivi e non discriminatori. E ultimo ma non meno importante, i governi potrebbero approfittare del processo per fare propaganda e censura a seconda dei propri interessi.
Ancora una volta, in pratica, l’Europa sembra voler procedere al controllo di informazioni pericolose appaltando la censura a entità private e spogliando quindi il processo di ogni controllo pubblico e democratico. Un’accusa già mossa in passato al codice contro l’hate speech, che se da una parte mirava a responsabilizzare le piattaforme online – considerandole responsabili dei “contenuti d’odio” su di esse pubblicati – ha di fatto delegato ad esse il compito di valutare e rimuovere i contenuti, incamminandosi verso un privatizzazione sostanziale della censura.
Infine, si tratta di un «precedente pericoloso», come riporta la lettera, anche per altri paesi al di fuori dell’Europa, i quali potrebbero sentirsi giustificati a prendere iniziative anti-terroristiche, spesso, come sappiamo, motivate in realtà da intenti propagandistici o di repressione delle opposizioni interne.
[di Anita Ishaq]