Principalmente a Belfast ma anche in altre città come Londonderry, Newtownabbey e Carrickfergus nell’Irlanda del Nord, da ormai una settimana continuano le proteste. La miccia è stata accesa dagli unionisti (irlandesi del nord fedeli alla corona inglese) scesi in piazza e autori di violenti scontri con la polizia, accusata di non aver fatto rispettare le restrizioni anti-Covid al funerale di Bobby Storey, storico esponente indipendentista ed ex membro del disciolto gruppo armato dell’Ira. Al funerale era presente anche Michelle O’Neill, vice prima ministra del paese, che con altri politici del partito nazionalista Sinn Féin (movimento indipendentista di sinistra d’ispirazione socialista, riferimento per i rivali cattolici che vorrebbero riunire l’Irlanda del Nord a quella del Sud) ed altri migliaia di partecipanti hanno marciato tramutando il funerale in una occasione politica.
Per questo in pochi giorni le proteste si sono trasformate in scontri tra unionisti protestanti e indipendentisti cattolici. Durante le violente manifestanti sono state lanciate pietre e molotov contro la polizia, un autobus è stato dirottato e dato alle fiamme. Più di 50 agenti di polizia sono rimasti feriti e tra i manifestanti sono state arrestate oltre 10 persone, tra cui anche alcuni minorenni. Come se non bastasse a complicare la già difficile situazione c’è la nuova intesa commerciale che a seguito della Brexit ha imposto, con il protocollo firmato dal governo del Primo Ministro inglese Boris Johnson, un confine con controlli doganali di frontiera sia nel Mare d’Irlanda che tra Irlanda del Nord e il resto del Regno Unito. Sicuramente una mal gestita transizione, che ha comportato problemi economici e amministrativi e che, nei timori degli unionisti, potrebbe col tempo separare di fatto l’Irlanda del Nord dalla Gran Bretagna, non solo geograficamente ma anche politicamente.
Queste nuove violenze cittadine hanno da subito destato preoccupazioni a livello internazionale poiché rischiano di riaprire le vecchie cicatrici del conflitto nord irlandese noto come The Troubles (i disordini) ossia la guerriglia urbana che si è svolta, tra la fine degli anni sessanta e la fine degli anni novanta in Irlanda del Nord, allargandosi poi anche nel Regno Unito e nella Repubblica Irlandese.
La causa di tali disordini risale al 1922 quando, in seguito alla guerra anglo-irlandese, che aveva lasciato le sei contee nord orientali sotto il dominio britannico con al governo il partito a maggioranza protestante UUP (Ulster Unionist Party), i cittadini cattolici in minoranza subivano palesi e gravi discriminazioni che generarono con il tempo un clima di grande scontento sfociato poi in frequenti attacchi di guerriglia urbana e attentati terroristici che causarono oltre 3500 morti tra paramilitari repubblicani cattolici, unionisti lealisti protestanti e forze di sicurezza britanniche. Attualmente il timore è che la pace sancita tra i rappresentanti dei partiti politici nordirlandesi, con l’accordo del 10 aprile 1998 detto Good Friday Agreement, (Accordo del Venerdì Santo), che mise fine a decenni di scontri violentissimi, rischi di barcollare e vanificarsi.
[di Federico Mels Colloredo]