Cargo ricolmi di casse d’armi, mezzi pesanti in movimento, colpi di artiglieria: la situazione del confine russo con l’Ucraina sta facendo tremare i Paesi dell’Europa Orientale, l’UE e l’Occidente intero, con molti che temono che queste tensioni belliche non sia altro che l’alba di un conflitto. In tutto questo, Kiev coglie l’occasione per rinnovare la sua richiesta di annessione alla NATO, un proposito che da anni definisce prioritario, ma che potrebbe rivelarsi fatalmente controproducente.
L’Ucraina, letteralmente traducibile come “terra sul confine”, riveste notoriamente la funzione di “cuscinetto” tra Est e Ovest, se non altro perché rappresenta l’ago della bilancia degli equilibri politici tra Stati Uniti e Russia. Equilibri risicati che si radicano profondamente in quelle che si potrebbero definire senza troppe ambiguità come “bugie bianche” di convenienza.
Nonostante il ruolo indipendente della nazione, all’interno dei confini ucraini si sta infatti svolgendo una guerra per procura che, a colpi di piccole schermaglie, va ormai avanti da sette anni. Da una parte vi sono le forze atlantiste sponsorizzate dagli Stati Uniti, dall’altra i separatisti sostenuti dalla Russia, tuttavia ambo gli sponsor sembravano soddisfatti di questo stallo politicamente conveniente. Almeno fino a poco tempo fa. Il cambio di guardia alla Casa Bianca ha notevolmente alterato i rapporti esteri di Washington. Il Presidente Joe Biden sta progressivamente acuendo la distanza con le grandi potenze economiche concorrenti, puntando piuttosto a ravvivare il ruolo dominante degli Stati Uniti sulla NATO.
Da che il suo mandato ha avuto inizio, la sua Amministrazione ha fomentato gli attriti con la Cina, preso le distanze dall’Arabia Saudita e, naturalmente, pestato i piedi alla Russia. Dal condannare platealmente l’arresto di Alexei Navalny, il più celebre oppositore di Putin, al minacciare di sanzioni le nazioni europee che stanno portando avanti il progetto Nord Stream 2, Biden ha fatto di tutto per rendere chiara la sua posizione nei confronti di Mosca ed è una posizione pregna di ostilità.
A questo va aggiunto che, da che Donald Trump ha lasciato le camere del potere, il Governo ucraino abbia preso a muoversi con una sorprendente foga: a febbraio ha bandito dal Paese i media filorussi, quindi ha rivendicando con forza la propria sovranità sulla Crimea con il progetto “Piattaforma Crimea”, ha sanzionando gli oligarchi vicini a Vladimir Putin e infine ha fomentato le forze militari impegnate nelle zone contese della nazione. Una serie di iniziative molto incisive, insomma, che per tempistiche e intensità portano a pensare che Kiev stia già contando sull’endorsement degli USA.
Le tensioni sono palpabili, soprattutto da che, lunedì 12 aprile, Kiev ha denunciato con foga uno scambio di colpi d’artiglieria che ha portato al decesso dell’ennesimo soldato ucraino. L’aggiornamento del bollettino di guerra giunge in coda a un incontro tenutosi tra il presidente ucraino Volodymyr Zelensky e il “dittatore” turco Recep Tayyip Erdogan, il quale sta cercando alleati che appoggino il controverso progetto del Canale di Istanbul, un’opera monumentale che andrebbe a stracciare la convenzione di Montreux e ad alterare significativamente l’accessibilità al Mar Nero.
Proprio il Mar Nero è il tacito minimo comun denominatore che unisce tutte le parti prese in causa da questa cupa escalation. Mettendo le mani sulla Crimea, la Russia si è infatti conquistata il controllo economico e militare del Bosforo, potere che viene ulteriormente cementato dal sostegno della Transnistria e dalle forze separatiste ucraine che presidiano il Dombas. Mosca, in altre parole, domina praticamente le rotte navali locali, vantando una posizione di superiorità strategica che difficilmente metterebbe a repentaglio con un’invasione esplicita dell’Ucraina. D’altro canto, la Russia non ha alcuna intenzione di cedere questo suo asso nella manica e il dispiegamento massiccio delle sue forze sul confine servirebbe quindi a ricordare ai propri avversari le conseguenze di una sfida diretta.
Queste “esercitazioni” militari intimidatorie, peraltro, non sono esclusive a Vladimir Putin: a inizio marzo lo stesso Biden ha schierato dei bombardieri B-1 nei cieli della Norvegia, una mossa che molti considerano un messaggio neppure troppo velato ai potenti di Mosca. Si trattano di giochi di potere che fanno parte di una routine ormai collaudata e che probabilmente scemeranno col tempo, sempre ammesso che gli equilibri correnti non vengano brutalmente lacerati.
L’adesione di Kiev alla NATO rischierebbe infatti di stravolgere lo status quo che tiene a bada le tensioni tra i due poteri. A quel punto la NATO, sotto la guida degli USA, potrebbe dispiegare i propri missili a portata delle metropoli russe, nonché riuscirebbe a mettere a repentaglio il dominio di Putin sul Mar Nero. Due condizioni lo stato russo non potrebbe considerare accettabili.
[di Walter Ferri]
Cosa diceva Giulietto Chiesa già a maggio 2019 durante un’intervista ad Antimafia 2000?
https://www.youtube.com/watch?v=5THe5dDXHGk&t=5s
Si sta realizzando ciò che lui paventava