La Nuova Zelanda ha in programma una legge per imporre al settore finanziario la divulgazione dei dati sull’impatto che le attività di business hanno su clima e ambiente. La proposta, già fatta a settembre 2020, è adesso parte del Financial Sector Amendment Bill, e vedrà a giorni la prima lettura in Parlamento. Una volta approvata, sarà obbligatorio non solo prevedere e dichiarare gli effetti degli investimenti, ma anche spiegare come si intende gestire i rischi connessi: soprattutto far fronte agli impegni che una vera tutela dell’ambiente impone. Le nuove disposizioni saranno attive dal 2023, e riguardano circa 200 entità finanziarie. In generale tutte quelle che posseggono o gestiscono capitali superiori a 1 miliardo in valuta neozelandese (circa 700 milioni di dollari), o che hanno un analogo premium income annuale. Si tratta delle più grandi banche, unioni di credito e società edili. Dei grandi gestori di investimento e delle società di assicurazione. Fino agli emittenti di debito e azioni registrati presso il New Zealand’s Exchange (NZX).
Far dichiarare i dati sull’impatto degli investimenti ha tre obbiettivi per il Governo laburista di Jacinda Arden. Innanzitutto la trasparenza: garantisce che nelle decisioni di business gli effetti dei cambiamenti climatici siano davvero considerati, a 360 gradi. Una banca, ad esempio, non dovrà solo monitorare e divulgare le conseguenze della propria attività. A legge approvata dovrà anche mettere in conto l’uso che viene fatto dei suoi prestiti. In secondo luogo la reputazione. Si vogliono aiutare investitori, banche e società di assicurazione a darsi un’immagine diversa: responsabile, lungimirante, davvero cosciente dei problemi connessi ai cambiamenti climatici. Il settore finanziario globale ha infatti collezionato diverse accuse di “greenwashing”: ovvero di fare solo propaganda, quando si tratta di tematiche ambientali. Un esempio recente è quella di Tariq Fancy, ex capo del settore Finanza Sostenibile presso Black Rock. Ha accusato Wall Street di ingannare il pubblico americano con poco più che narrazioni di marketing. Infine l’obbiettivo è raggiungere una miglior allocazione di capitale, coerente con un’economia sostenibile e a bassa emissione.
Con questa legge la Nuova Zelanda sarà il primo paese a porre le grandi banche di fronte alle proprie responsabilità ambientali. Perché dal loro operato concreto, al di là dei proclami green altisonanti, dipende l’esito positivo della lotta ai cambiamenti climatici. Come mostra un report di Rainforest Action Network, senza un minimo di controllo o regolazione, il settore finanziario globale continua a subordinare l’ambiente agli interessi di business. Dalla stipula degli Accordi di Parigi, le 60 banche più importanti del mondo hanno finanziato l’industria dei combustibili fossili con ben 3,8 mila miliardi di dollari. JP Morgan, per citarne una, dal 2016 ad oggi ha destinato 317 miliardi alle sole compagnie petrolifere. Senza considerare che il primo semestre 2020 è quello in cui si è registrato il più alto sostegno economico a fonti di energia non rinnovabile.
[di Andrea Giustini]