Un nuovo carico di armi e carri armati in partenza verso una dittatura è stato individuato al porto di Genova: si tratta della nave cargo della compagnia Bahri, battente bandiera dell’Arabia Saudita. Nella stiva dell’imbarcazione i lavoratori aderenti al sindacato Calp (Collettivo autonomo lavoratori portuali) hanno scoperto un carico di carri armati ed armi, ed è scattata la protesta, asserendo che gli armamenti siano destinati ad alimentare il sanguinoso conflitto in Yemen nel quale la monarchia saudita è coinvolta. Un’iniziativa, quella dei lavoratori, tanto più coraggiosa perché molto di loro si trovano ancora sotto indagine della magistratura per casi analoghi avvenuti in passato.
Il 24 febbraio scorso, infatti, cinque portuali – secondo quanto rivelato dagli stessi lavoratori – subirono una perquisizione in casa da parte della Digos e il sequestro di computer e materiale vario e contro di loro è stata aperta un’inchiesta per “associazione a delinquere” e “attentato ai mezzi di trasporto”, per avere lanciato alcuni razzi luminosi verso la fiancata di una delle navi della flotta Bahri. Un caso avvenuto due anni fa, sempre allo scopo di contrastare la partenza della medesima nave, che all’epoca trasportava un altro carico di armi.
Secondo quanto riporta il quotidiano genovese Il Secolo XIX l’amministratore delegato del terminale genovese, Andrea Bartalini, non ha voluto commentare il carico della nave. Il presidente dell’Autorità portuale Genova-Savona, Paolo Emilio Signorini, sostiene che l’Autorità non è competente della merce in transito, né di quella imbarcata in porto. Una posizione che non soddisfa i lavotori del Calp – che nella lotta sono affiancati da varie associazioni come Emergency a Medici senza Frontiere – che sottolineano come: «Il traffico di armi deve uscire dal porto di Genova. In passato ci siamo sempre opposti a questo tipo di traffico e continueremo a farlo. Non solo per una questione etica ma pure di sicurezza».