Dopo che nel mese di gennaio 2021 il governo italiano ha deciso di revocare 6 autorizzazioni per l’esportazione di missili e bombe aeree verso Arabia Saudita ed Emirati Arabi Uniti, vi è stata la reazione del settore della difesa, che ha ribadito l’importanza dell’industria militare e delle esportazioni di armi per l’economia del Paese mettendo nel mirino la legge 185 del 1990 sull’export militare. A tal proposito nella relazione annuale del Ministero della Difesa il Capo di Stato maggiore, Enzo Vecciarelli, ha sottolineato la «perplessità ed il rammarico» per le limitazioni dell’export verso Arabia Saudita ed Emirati ed ha dichiarato che tali attività rappresentino «una voce del bilancio nazionale di assoluto rilievo». Inoltre, il mese scorso il Tar del Lazio ha respinto il ricorso che era stato presentato dalla Rwm (azienda che produce materiale militare in Sardegna), giudicando «molto seri i rischi che gli ordigni oggetto delle autorizzazioni avrebbero potuto colpire la popolazione civile yemenita» e ribadendo che la salvaguardia e l’incolumità della popolazione civile debbano prevalere sull’interesse economico privato.
Ma reazioni del genere non dovrebbero proprio esservi, in quanto la revoca di queste autorizzazioni è stata giustamente attuata in ossequio alla legge 185 del 1990, che prevede il divieto di fornire armi ai Paesi «la cui politica contrasti con i principi dell’articolo 11 della Costituzione» o che violino i diritti umani. Eppure l’Italia sta continuando a vendere armi ai paesi che non rispettano tali diritti, come ad esempio l’Egitto, infrangendo tale disposizione. Proprio per questo, 33 organizzazioni impegnate nella promozione della pace, del disarmo e della protezione umanitaria hanno lanciato un appello in cui si chiede al governo di «ribadire l’importanza di osservare le norme stabilite dalla Legge 185/90» ed al Parlamento di «analizzare con attenzione le relazioni governative sulle esportazioni di sistemi militari».
[di Raffaele De Luca]