Non è andata a buon fine la riunione del Consiglio europeo (di cui fanno parte i capi di Stato dei 27 Paesi membri dell’Ue) tenutasi recentemente a Bruxelles per cercare di trovare un accordo sulla ripartizione dello sforzo di riduzione delle emissioni di gas serra, che l’Ue lo scorso mese ha stabilito di voler diminuire di almeno il 55% entro il 2030 rispetto ai livelli del 1990. Nello specifico lo scopo dell’incontro del Consiglio europeo era quello di consegnare alla Commissione Europea dei criteri su cui basare il suo pacchetto di misure legislative denominato “Fit for 55”, il quale sarà lanciato il 14 luglio e servirà a rinnovare gran parte della legislazione europea avente ad oggetto l’energia e riuscire così a centrare gli obiettivi climatici. Ma i Paesi Membri non sono riusciti a raggiungere il fine prefissato ed hanno rimandato tale decisione al momento in cui «la Commissione avanzerà la sua proposta», seppur essi avrebbe dovuto appunto orientare il lavoro di quest’ultima.
In più, i capi di Stato hanno anche modificato il paragrafo 5 del capitolo sul clima presente all’interno della bozza circolata negli ultimi giorni a Bruxelles, il quale conteneva alcune regole sulle emissioni. Infatti, nelle conclusioni dell’incontro si legge che il Consiglio europeo invita la Commissione a presentare «rapidamente il suo pacchetto legislativo insieme ad un esame approfondito dell’impatto ambientale, economico e sociale a livello degli Stati membri», il che rappresenta un concetto totalmente diverso da ciò che precedentemente era previsto da questo paragrafo. Infatti, prima di tale modifica esso conteneva principi differenti, tra cui in particolare quello di confermare «che la distribuzione degli sforzi tra gli Stati membri dovrebbe basarsi sui criteri del regolamento vigente sulla condivisione degli sforzi».
Ed infatti è stato proprio questo accenno alla legislazione sulla condivisione degli sforzi a rappresentare un problema per l’accordo tra i capi di Stato. Essa stabilisce gli obiettivi nazionali annuali per gli Stati membri in materia di emissioni di gas serra per alcuni settori che non fanno parte del sistema di scambio di quote di emissione dell’UE, le cosiddette “EU ETS” (Emission Trading Scheme). Nello specifico, la legislazione prevede che i paesi più poveri debbano raggiungere obiettivi meno impegnativi rispetto a quelli più ricchi, cosa però non gradita da alcuni stati. Danimarca e Lussemburgo, ad esempio, hanno chiesto una modifica di tale modus operandi.
Ma c’era da aspettarselo: il premier italiano Mario Draghi ha affermato a tal proposito in una conferenza stampa che la questione «aveva avuto una preparazione relativamente scarsa». Tuttavia, come sottolineato anche dalla delegazione italiana dei Greens/EFA (un gruppo politico del Parlamento europeo), si tratta di una parte fondamentale della battaglia sul clima che è naufragata proprio al summit europeo.
[di Raffaele De Luca]