giovedì 21 Novembre 2024

Caso Seid Visin: non serve fomentare falsa informazione per combattere il razzismo

Ancora una volta la stampa italiana ha dimostrato la sua bassezza, con uno schierarsi propagandistico di inutile strumentalizzazione che rischia di rivoltarsi contro a quello che è certamente un problema reale da affrontare. La morte del giovane Seid Visin, ventenne con un passato nelle giovanili del Milan, è stata utilizzata per becera propaganda tra titoloni ad effetto e zuffe politiche di bassissimo livello. Anziché affrontare il razzismo in maniera seria e onesta, il mainstream mediatico-politico preferisce mettere in mezzo la disgrazia di un giovane uomo e della sua famiglia col solo fine di portare acqua al proprio mulino. La lettera che molti giornali hanno fatto passare come ultimo messaggio lasciato prima del suicidio risale in realtà al gennaio 2019.

Il giovane di origine etiope, adottato all’età di sette anni da una famiglia di Nocera Inferiore, soffriva certamente il disagio prodotto da un certo clima sociale italiano e lo ha espresso nella lettera inviata due anni e mezzo fa agli amici e alla propria psicoterapeuta. Ma ciò che Visin provava dentro di sé andava al di là della strumentalizzazione giornalistica e politica. Lo dice la famiglia, lo dice il padre e anche chi lo conosceva bene.

Stefano Nava, ex difensore del Milan e suo allenatore nelle giovanili rossonere, ha detto del ragazzo: «Lui era diverso dagli altri, aveva una cultura e una sensibilità fuori dal comune. Era appassionato dei classici: Omero, Dostoevskij, Victor Hugo. Era introverso, non partecipava alla vita di gruppo. Era come se non fosse adatto a questo nostro mondo. Era appassionato di moda, tanto che aveva dei look sempre originali. Studiava le lingue, era esperto di musica, frequentava musei. Aveva una continua sete di sapere. In effetti ero convinto che se nella vita avesse avuto la chance di sfondare non sarebbe avvenuto in campo sportivo, bensì in quello artistico». Nava ha poi aggiunto: «Ho sempre avuto la sensazione che lui fosse divorato da demoni interiori».

Certamente il razzismo era parte di quella costellazione di angosce che Seid Visin portava dentro di sé ma non si può dire che ne sia stato la causa e non si può far passare una lettera di due anni e mezzo prima come assolutamente associabile, o addirittura come testamento, al gesto che il ragazzo ha deciso di compiere. Il razzismo è una cosa seria e come tale va trattato senza bisogno di strumentalizzazioni del dolore tipiche della società dello spettacolo che molti dei nostri giornali e politici rappresentano in maniera iconica.

[di Michele Manfrin]

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