domenica 22 Dicembre 2024

Pedro Castillo, il maestro marxista che ha conquistato il Perù

Pedro Castillo si è aggiudicato le elezioni peruviane con un esiguo scarto di voti rispetto a Keiko Fujimori. Castillo risulta essere vincitore con il 50,2% dei voti e lo scarto minimo farà scatenare settimane di dispute politiche. Fujimori, erede di una potente famiglia politica, ha sollevato accuse di brogli elettorali rivolgendosi al Tribunale Elettorale Nazionale (JNE) chiedendo di annullare i risultati di 802 seggi elettorali, l’equivalente di 200.000 voti. Inoltre, ha anche chiesto il riconteggio di 300.000 schede. Osservatori elettorali internazionali ed esperti hanno però affermato che la votazione si è svolta in modo pulito.

Castillo fu il vincitore a sorpresa del primo turno di aprile, segnando un possibile nuovo scenario per il Perù che adesso sembra delinearsi in maniera più chiara. Castillo, nome completo Pedro Castillo Terrones, laureato in psicologia e insegnante elementare, è figlio di agricoltori analfabeti e ha scosso l’élite politica della nazione andina ottenendo un enorme sostegno dalle zone rurali e dalle classi disagiate del Paese. Divenne noto nel 2017 quando era capo sindacalista degli insegnanti durante lo sciopero nazionale di quell’anno, in cui si chiedeva di aumentare gli stipendi, di ripagare il debito sociale, di abrogare la legge sulla carriera degli insegnanti pubblici e aumentare il bilancio del settore dell’istruzione. L’ex presidente boliviano Evo Morales, il cui partito socialista è nuovamente al potere, si è congratulato con Castillo per la sua vittoria, vedendo in lui una speranza di risorgimento, fratellanza e giustizia sociale per i popoli latinoamericani.

Il partito che ha sostenuto Carillo, Perù Libre, è un organizzazione marxista-leninista che crede nel decentramento politico, nella sovranità, nell’internazionalismo e nell’anti-imperialismo, si è schierato più volte dalla parte del Venezuela per gli attacchi subiti. Perù Libre è contrario alla dittatura del mercato poiché quando il Paese adottò il neoliberismo e i mercati furono deregolamentati, le compagnie straniere assunsero il controllo dell’economia facendo aumentare lo sfruttamento del lavoro e la disuguaglianza sociale, facendo piombare nuovamente il Perù ad una condizione di colonia.

Il Perù è il secondo produttore di rame al mondo e Castillo ha spaventato i mercati con proposte per ridistribuire la ricchezza mineraria e aumentare le tasse sulle imprese minerarie, spiegando però che gli investimenti internazionali nel settore son ben accetti finché le operazioni di estrazione siano permesse da popolazioni e contesti naturali. Il neo Presidente vuole inoltre varare una riforma agraria che metta fine alla dipendenza dall’importazione estera e che incentivi l’uso di prodotti alimentari locali che non siano da produrre esclusivamente come materia per l’esportazione. Castillo propone inoltre un cospicuo aumento dei bilanci per l’istruzione e per la sanità, pari ad almeno il dieci per cento del PIL.

Un’altra proposta è quella di eleggere un‘Assemblea Costituente che sostituisca la costituzione ereditata dal regime di Alberto Fujimori (padre della rivale, Keiko Fujimori). Castillo ha spiegato che la nuova carta costituzionale dovrà essere elaborata su espresso mandato del popolo, tramite suoi delegati e con approvazione finale tramite referendum.

Alberto Fujimori, il cui nome completo è Alberto Kenya Fujimori Inomoto, è stato Presidente e poi dittatore del Paese dal 1990 al 2000. Insediatosi alla presidenza del Perù nel ‘90, due anni più tardi operò un colpo di Stato assumendo pieni poteri e promulgando, nel 1993, una nuova Costituzione. Fujimori adottò misure liberiste e di austerità molto severe nel tentativo di combattere l’inflazione. La valuta nazionale perse il 200% del suo valore e centinaia di aziende pubbliche furono privatizzate, causando la perdita diretta di 300.000 posti di lavoro. Fujimori fu protagonista di autoritarismo, dell’uso di squadroni della morte e della repressione politica. Nel periodo in cui fu al potere, Fujimori istituì anche un programma di sterilizzazione forzata per le popolazioni indigene: 330.000 donne e 25.000 uomini ne furono vittime. Nonostante nel 2000 fosse stato rieletto, Fujimori rinunciò alla presidenza con un fax inviato dal Giappone, in cui si trovava.

[di Michele Manfrin]

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