Lo scorso 8 giugno agenti della Digos hanno fermato il ricercatore storico Paolo Persichetti, e lo hanno condotto presso la sua abitazione dove ad attenderlo c’erano altri agenti della Digos oltre a uomini della Polizia di Prevenzione e della Polizia Postale. Le forze di polizia hanno effettuato una perquisizione disposta dal sostituto procuratore presso il Tribunale di Roma, Eugenio Albamonte, che ha dato seguito ad una informativa della Polizia di Prevenzione del 9 febbraio scorso. Il mandato di perquisizione aveva l’ordine di sequestro di tutto il materiale informatico, e non solo, in possesso di Persichetti. A darne notizia è lo stesso Persichetti in una lettera del 12 giugno intitolata Se fare storia è un reato. L’accusa della Procura di Roma è «divulgazione di materiale riservato acquisito e/o elaborato dalla Commissione Parlamentare d’inchiesta sul sequestro e l’omicidio dell’on. Aldo Moro».
La Procura della Repubblica ha concretizzato la divulgazione del “materiale riservato” in due distinti reati: favoreggiamento, art.378 cp; associazione sovversiva con finalità di terrorismo, art.270bis cp. Tale attività delittuosa avrebbe avuto luogo a partire dall’8 dicembre 2015. Dunque, come spiega lo stesso Persichetti, da tale data esisterebbe in Italia un’organizzazione sovversivo-terroristica di cui però ignoriamo l’esistenza e le stesse azioni che la renderebbero tale. «Nonostante le molte stagioni trascorse non si conoscono ancora il nome, i programmi, i testi e proclami pubblici e soprattutto le azioni concrete (e violente, senza le quali il 270 bis non potrebbe configurarsi)», scrive Persichetti nella lettera pubblica. Lo stesso accusato si chiede se gli accusatori non abbiano utilizzato tali (gravi) ipotesi di reato per avere carta bianca nell’utilizzo di tecniche investigative che altrimenti non potrebbero essere utilizzate.
Eppure, secondo quanto racconta Persichetti, tutto il materiale in suo possesso era il frutto di anni di lavoro di ricerca storica condotta presso archivi e istituzioni pubbliche quali l’Archivio centrale dello Stato, l’Archivio storico del senato, la Biblioteca della Camera dei deputati, la Biblioteca Caetani, l’Emeroteca di Stato, l’Archivio della Corte d’appello, oltre a materiale ricavato da una quotidiana raccolta delle fonti aperte, dei portali istituzionali, delle testimonianze orali ed esperienze di vita.
La stampa mainstream nel dare la notizia si è concentrata sul sottolineare il passato di Persichetti, che negli anni ’80 aveva fatto parte delle Brigate Rosse. Come se il suo passato (per il quale ha pagato il conto con la giustizia) dovesse screditarne il lavoro a vita. Il suo avvocato, non per nulla, ha parlato dell’accusa mossagli per associazione sovversiva come di un “reato grimaldello”, applicato per poter così procedere a indagini, pedinamenti e perquisizioni in modo più aggressivo.
Aldilà di tutto, sembra incredibile che in una democrazia un ricercatore storico possa subire il sequestro del materiale costituente le proprie ricerche e i propri studi.
[di Michele Manfrin]
Certi segreti di stato, se non fossero più tali, possono riscrivere i libri di storia. Potremmo renderci conto in che società viviamo
Quanta paura ancora della verità dopo più di quarant’anni… che paese triste