Negli ultimi giorni è scoppiata una polemica in seguito all’ammissione della sollevatrice pesi Laurel Hubbard alle olimpiadi di Tokyo della prossima estate. Hubbard, neozelandese, è una donna dal 2012, avendo cambiato sesso dopo 35 anni vissuti da uomo (almeno biologicamente parlando). La decisione di includerla nella categoria femminile del sollevamento pesi ha spaccato l’opinione pubblica in due. Rientra perfettamente nelle linee guida dell’International Olympic Committee in fatto di persone transgender e da molti è stata accolta con entusiasmo, come segno di inclusione. Molte critiche sono però emerse all’interno della comunità scientifica, in vari circoli femministi e persino tra molti transgender.
Secondo le linee guida elaborate nel 2015 dell’International Olympic Committee, gli atleti che passano dal sesso maschile a quello femminile possono competere nella categoria femminile senza dover necessariamente aver subito un’operazione di rimozione dei testicoli. Questo purché il loro livello di testosterone si sia mantenuto al di sotto delle 10 nanomoli per litro negli ultimi 12 mesi.
Alcuni recenti studi scientifici, però, hanno evidenziato che le persone che hanno attraversato la pubertà maschile mantengono comunque vantaggi biologici in quanto a forza e prestanza, per quanto il loro livello di testosterone possa essere clinicamente soppresso. Parliamo del “male performance advantage“, ovvero un vantaggio legato al solo fatto di essere stati maschi, di cui l’IOC, secondo le voci critiche, non tiene sufficientemente conto.
Secondo gli studiosi Hilton e Lundberg, il male performance advantage spazia dal 10 al 50% a seconda del tipo di sport. Ovviamente, gli sport in cui è più significativo sono proprio quelli che richiedono molta forza muscolare. In alcuni studi longitudinali condotti su persone che avevano soppresso il proprio livello di testosterone, si è visto che la perdita di massa muscolare è appena del 5% dopo 12 mesi di trattamento. Alcuni effetti della pubertà maschile sembrerebbero essere di fatto irreversibili.
Chiaramente, si tratta di questioni molto delicate. Da una parte, c’è una forte volontà ad includere i transgender e dar loro gli stessi diritti di riconoscimento e partecipazione alle competizioni sportive. Dall’altra parte, le donne biologiche hanno un notevole svantaggio naturale in fatto di sport, e senza un giusto approccio basato sull’evidenza scientifica, si rischia di sacrificare i loro di diritti, per garantire quelli dei transgender. Dagli ambienti femministi sono infatti giunte molte critiche. L’associazione britannica Fair Play for Women, per esempio, si oppone all’inclusione delle donne trans nelle categorie sportive femminili e propone, in alternativa, una conversione della categoria maschile in una categoria aperta a tutti.
Come immaginabile, le critiche sono state numerose anche all’interno dell’ambiente sportivo femminile. Molte sollevatrici pesi hanno espresso solidarietà con la causa dei transgender, ma hanno comunque dichiarato di sentirsi vittime di un’ingiustizia.
[di Anita Ishaq]