sabato 2 Novembre 2024

Anche la Cina è d’accordo: la tassa minima globale verso l’approvazione

La minimum tax sulle multinazionali è vicina a diventare realtà. Funzionari di 130 paesi hanno dato il loro sostegno alla proposta degli Stati Uniti di richiedere una tassa globale minima per le società a partire dal 15%. L’approvazione è giunta anche da India e Cina, inizialmente contrarie. Una vittoria per Biden – che l’ha proposta – ma certamente anche per le multinazionali, che difatti non stanno avversando la norma, considerata l’aliquota molto basse prevista.

La proposta della minimum tax era stata approvata in prima istanza dai paesi del G7 lo scorso 5 giugno, al fine di arginare lo strapotere fiscale delle grandi aziende multinazionale, l’elusione fiscale e il fenomeno dell’offshoring. L’introduzione della tassa è stata accolta con entusiasmo dall’opinione pubblica nonché dai governi (soprattutto da Biden, che l’ha vista come una vittoria personale). Ma, e la cosa dovrebbe sorprendere, l’accoglienza è stata ottima da parte anche delle multinazionali stesse, in teoria vittime della norma. Perché le multinazionali, che hanno sempre cercato di evitare possibili tassazioni, si sono proclamate a favore? Secondo le voci più critiche, l’aliquota è semplicemente troppo bassa e quindi conveniente per loro. Oltretutto, tassando i profitti offshore, la global corporate tax di fatto li permette.

Secondo l’economista Thomas Piketty, la global corporate tax è perfettamente integrabile nel sistema capitalistico. Negli Stati Uniti, le piccole e medie imprese sono vessate da una varietà di imposte (per un costo cumulativo pari al 50% dei loro profitti), mentre i più ricchi si limitano a pagare un’imposta finale sui profitti (in questo caso, la global corporate tax). Secondo Piketty oltretutto l’aliquota praticamente legittima il trasferimento dei profitti nei paradisi fiscali, ponendo come unica condizione una tassa di entità piuttosto ridotta.

Risentimento verso la global corporate tax è venuto anche da Ong come Oxfam, che in un comunicato stampa ha dichiarato che «il G7 aveva la possibilità di stare con i contribuenti. Invece sta con i paradisi fiscali.» L’organizzazione ha criticato duramente la decisione di imporre una tassa così bassa in un periodo di grande crisi come quello post-pandemico e ha sottolineato che questa tassa avrà effetti disastrosi sulla disuguaglianza globale, spostando enormi capitali dai paesi più poveri verso quelli più ricchi, dove si trovano le principali multinazionali. Insomma, una global corporate tax è un passo avanti di per sé, ma perché non si limiti a rinforzare le disparità già esistenti deve essere alta. Non si può rendere l’intero pianeta un paradiso fiscale.

Nonostante gli aspetti negativi, la tassa almeno rompe un sistema decennale di competizione tra stati, unificando la tassazione a livello globale, e in questo senso l’accordo va comunque accolto con un minimo di ottimismo. L’accordo definitivo avrà luogo il prossimo weekend a Venezia in occasione del G7 dei ministri delle finanze.

[di Anita Ishaq]

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