Sei anni fa, il 5 luglio 2015, il popolo greco affermava la propria sovranità democratica con un referendum storico che vide la larga vittoria di coloro che non volevano cedere la propria libertà e dignità ad un sistema incentrato a conservare e incrementare gli interessi del grande capitale industriale e finanziario. La risposta del popolo greco fu netta e rigettava la prepotente volontà della Trojka (Commissione europea, Banca Centrale Europea e Fondo Monetario Internazionale), portatrice d’istanza di paesi quali Germania e Francia, personalmente esposti con le proprie banche, che intendeva porre la Grecia sotto un rigido controllo economico tramite una profonda ristrutturazione dell’economia. In tutto questo però, ebbe un ruolo importante, sebbene sotto traccia, la Banca Centrale Europea capitanata dall’attuale Primo Ministro italiano, Mario Draghi.
Come ricorderete, in quei concitati giorni di luglio, colui che annunciò il referendum, il Primo Ministro greco Alexīs Tsipras, finì per disattendere il risultato espresso dalla consultazione popolare nazionale che aveva rifiutato il piano proposto dalla Tojka in cambio di un nuovo programma di supporto finanziario.
Dopo il referendum, l’11 di luglio, Tsipras presentò ai creditori un diverso programma che prevedeva la mitigazione di alcune delle richieste fatte dalla Trojka, spalmandone l’adozione in più anni o limando alcuni punti percentuali, e rifiutando la selvaggia privatizzazione richiesta (anche dei pubblici servizi come acqua e energia elettrica). Il governo di Tsipras proponeva anche soluzioni nuove come il taglio della spesa militare. Il giorno seguente, la Trojka rifiutò la proposta greca e mise all’angolo il governo del Paese ponendo due sole opzioni: accettare la ristrutturazione proposta dalla Trojka oppure procedere con l’uscita della Grecia dall’Eurozona. Alla fine il governo guidato da Tsipras si piegò e Syriza, partito di maggioranza vittoriosa alle elezioni di quell’anno, si divise. La sera del 20 agosto 2015, dopo aver perso la maggioranza parlamentare, Tsipras rassegna le dimissioni nelle mani del Presidente della Repubblica, Prokopīs Paulopoulos.
Questo fu l’epilogo dell’attacco sferrato alla Grecia, iniziato già il 4 febbraio 2015, nove giorni dopo la vittoria elettorale di Syriza, partito di sinistra radicale che aveva raccolto la maggioranza alle elezioni promettendo di disobbedire alle imposizioni europee. Infatti, la BCE decise di togliere al governo greco una delle sue principali linee di credito: le banche greche non avrebbero più potuto accedere alla “normale” liquidità della BCE. Da quel momento in poi, le banche avrebbero dovuto fare affidamento sul più costoso Emergency Liquidity Assistance (ELA). Questa decisione dette alla Grecia pochi giorni di vita se non fosse stato raggiunto, in appena tre settimane, un nuovo accordo con i creditori. Iniziò un estenuante trattativa che ebbe una svolta negativa il 28 giugno del 2015, quando la BCE rifiutò alla Banca centrale greca il diritto di aumentare la propria liquidita nel quadro dell’ELA. Sull’orlo improvviso del fallimento, il governo dovette chiudere le banche e imporre un controllo sui capitali e le persone si affrettarono agli sportelli per prelevare denaro per un massimo di 60 euro al giorno. Tre giorni prima, il 25 giugno, Tsipras aveva annunciato la volontà di sottoporre la decisione al popolo greco.
La BCE pose un macigno sulle spalle della Grecia, in preda al mare agitato delle acque finanziarie ed economiche a cui Syriza voleva rispondere con un programma economico-politico non gradito dall’Unione Europea, in particolar modo da Francia e Germania, e dal FMI.
[di Michele Manfrin]
Forse era possibile l’uscita unilaterale e immediata da euro, ma Tzipras non aveva il coraggio o la convinzione.