Per definizione, un’analisi costi-benefici dovrebbe misurare e comparare tutti i costi e i benefici connessi all’attuazione di un progetto. Non sembra questa la strategia giornalistica adottata dal TGR Emilia-Romagna che ieri, nell’edizione del pomeriggio, ha deciso di coprire la notizia dell’inaugurazione del cantiere del nuovo centro di smistamento Amazon a Spilamberto (provincia di Modena) in modo a dir poco sbrigativo, se non pubblicitario.
In apertura del servizio il giornalista riporta i dati più generali: un polo logistico di 35.000 mila metri quadrati che aprirà ufficialmente in autunno, 15 mesi di lavori durante il lockdown per realizzare il secondo centro di smistamento Amazon dell’Emilia Romagna dopo quello di San Giovanni nel piacentino (aperto nel 2011), senza contare i 3 depositi a Parma, Crespellano e Sant’Arcangelo di Romagna. Un investimento totale di 80 milioni di euro. Da questo punto in poi il servizio assume toni vaghi: un rappresentante dell’azienda annuncia l’imprecisata intenzione di creare 200 posti di lavoro a tempo indeterminato per poi limitarsi a dire che le assunzioni previste per il momento sono 50 o 60 al massimo. Naturalmente il responsabile non si pronuncia né sul salario dei neoassunti né tantomeno sulle condizioni di lavoro cui saranno sottoposti. L’autore del servizio non ritiene importante integrare la voce dell’azienda qualche informazione, provata, sulle condizioni di lavoro solitamente imposte dalla multinazionale o sui metodi che adopera per impedire ai suoi lavoratori di reclamare migliori condizioni lavorative.
Per il TG3 dopo le dichiarazioni dell’azienda è anzi il momento di quelle politiche del sindaco Umberto Costantini, molto interessato ad autocelebrarsi con toni enfatici. Il primo cittadino, assieme al rappresentante di Amazon, si premura di minimizzare le critiche, rivolte da una generica «opposizione», riguardo ai grossi problemi di viabilità e inquinamento che si troveranno ad affrontare gli abitanti locali. Una media giornaliera di 2000 veicoli in più e un aumento del 20% di mezzi pesanti nei soli 3 chilometri tra lo stabilimento e lo svincolo autostradale. A questo problema il sindaco risponde dicendo che cercherà di «ottenere ulteriori sviluppi dal punto di vista viario». Ma da chi proverranno questi sviluppi infrastrutturali a beneficio della cittadinanza e dei lavoratori? Saranno a carico di Amazon o dell’amministrazione pubblica? Non è affatto chiaro. Il portavoce aziendale risponde sviando il discorso: i problemi di viabilità saranno risolti con la creazione di parcheggi dedicati per i camion. E i veicoli in transito come saranno gestiti? E quale sarà l’impatto ambientale di questo aumento del traffico locale? Tutte questioni su cui non vengono date risposte ma nemmeno fatte domande.
Infine il sindaco chiosa dicendo che «mettendo insieme sulla bilancia benefici e negatività, oggi siamo sicuramente a una somma positiva». Una sentenza definitiva, che il giornalista accoglie e consegna senza ulteriori commenti al telespettatore: l’apertura di un nuovo stabilimento Amazon è una questione positiva e non vi è discussione né dibattito possibile. Ma questo è un esempio emblematico di un’analisi costi-benefici liquidatoria e incompleta propria di un’informazione che fa il gioco delle aziende. Se da una parte gli unici benefici per ora ravvisabili sono 50 assunzioni, dall’altra il computo dei costi si sarebbe dovuto concentrare seriamente sui reali costi sociali, economici e ambientali. Quale sarà l’impatto economico che il colosso dell’e-commerce avrà sulle attività locali? Per ogni dipendente assunto quanti nuclei familiari si ritroveranno in difficoltà? Sarebbe stato interessante intervistare anche qualche rappresentante dei commercianti oltre ai responsabili aziendali di Amazon. Quale sarà poi il beneficio per le casse dello Stato e quindi per i cittadini? Sarebbe stato semplice – volendo – par l’autore del servizio riprendere una notizia di poche settimane fa, che raccontava come l’azienda di Jeff Bezos nel 2020 abbia pagato 0 (zero!) euro di tasse in Europa a fronte di 44 miliardi di fatturato.
Insomma, ancora una volta la televisione pubblica italiana ha perso un’occasione per fare un’informazione al servizio di coloro che pagano il canone, preferendo altri criteri che poco hanno a che fare con la qualità del giornalismo.
[di Jacopo Pallagrosi]