Si è svolta questa mattina a Roma la prima udienza della causa intentata da 520 parenti di vittime del Covid contro il Governo, il ministero della Salute e la Regione Lombardia. Il team di avvocati che rappresenta i parenti ha presentato nei giorni scorsi un atto d’accusa di oltre 2000 pagine. La causa è stata intentata principalmente da parenti delle vittime della prima ondata nella bergamasca che imputano ai poteri pubblici l’assenza di un piano per fronteggiare la pandemia e le lentezze e le mancanze nell’affrontare l’emergenza. La battaglia delle famiglie, superato lo scoglio della prima udienza, si annuncia lunga e difficile.
La questione del piano pandemico
La mancata redazione di un piano pandemico da parte dell’Italia è nota da alcuni mesi. Il governo italiano nel febbraio 2020 avrebbe anche ingannato l’Organizzazione mondiale della sanità, fingendosi falsamente preparata ad affrontare una pandemia. Il Governo, il 4 febbraio 2020, aveva presentato alla Organizzazione mondiale della sanità (Oms) un documento di autovalutazione nel quale dichiarava che il nostro Paese rispettava il “livello 5”, ovvero al grado più alto di preparazione nell’affrontare una pandemia, che prevede che «il meccanismo di coordinamento degli interventi di emergenza del settore sanitario e il sistema di gestione degli incidenti collegato con un centro operativo di emergenza nazionale sono stati testati e aggiornati regolarmente». Un falso, visto che è stato poi appurato che l’ultimo aggiornamento del piano pandemico risaliva al 2006.
Le mancanze nell’individuazione dei casi
Ma la causa verte anche su altri elementi, puntando l’indice contro la gestione dei tamponi, non utilizzati per identificare i casi di coronavirus nel febbraio 2020 nonostante fossero già disponibili. In particolare sotto accusa è la circolare con la quale, il 27 gennaio 2020, il ministero della Salute stabilì che il tampone andava fatto solo ai casi sospetti collegabili a contatti e viaggi in Cina, andando a modificare la precedente circolare, emessa appena cinque giorni prima, che prevedeva il test anche per chi manifestasse «un decorso clinico insolito o inaspettato». In questo modo si sarebbe lasciato circolare il virus senza contromisure per quasi tutto il mese di febbraio. È in questo arco temporale, tra fine gennaio e fine febbraio 2020, che si gioca parte della partita: si fosse intervenuti prima – è quanto cercheranno di dimostrare in aula i legali delle vittime – la tragedia sarebbe stata circoscritta e molte vite sarebbero state salvate.