Il 9 luglio 2021, il Ministro dell’Interno Luciana Lamorgese e il Ministro per l’Innovazione Ecologica e la Transizione Digitale Vittorio Colao hanno adottato un decreto per la sperimentazione del voto elettronico.
Il decreto prevede una gradualità nella sperimentazione: ci sarà una fase iniziale di simulazione in cui il voto digitale sarà privo di valore legale e poi una seconda fase in cui il voto avverrà in un contesto elettorale e acquisirà valore legale. La sperimentazione interesserà almeno 7,5 milioni di italiani (3 milioni di fuorisede e 4,5 di residenti all’estero), che potranno votare digitalmente e a distanza. Probabilmente però toccherà molte più persone, perché chiunque si troverà al di fuori del proprio comune per ragioni di lavoro, studio o salute sarà autorizzato a votare a distanza.
Il decreto è partito dall’inizativa del Presidente degli Affari costituzionali della Camera Giuseppe Brescia (del Movimento 5 Stelle), che nel 2019 aveva istituito un fondo di un milione di euro per l’introduzione del voto elettronico.
Sono numerose le voci critiche. L’e-voting è considerato da molti una procedura inadeguata: falle nei sistemi, violazioni della privacy degli utenti, fino anche ad alterazioni dei dati elettorali elettronici sono solo alcune delle ragioni che hanno portato a denunce contro l’e-voting negli Stati Uniti, dove il sistema è in uso. Oltretutto, in Italia c’è un forte ‘digital divide’, che precluderebbe a molti questa risorsa e rinforzerebbe quindi disuguaglianze già esistenti. Per quanto si possa poi ribadire che il processo è ufficiale, trasparente e verificato, i sistemi elettronici sono esposti sia a problemi tecnici che a fenomeni maligni come l’hackeraggio.
Ma la principale ragione del diffuso scetticismo è l’estrema difficoltà a verificare e riconteggiare i voti ad elezioni fatte. I dati elettronici possono essere cancellati o perdersi, mentre è difficile che questo avvenga per delle schede cartacee. Gli unici sistemi di votazione elettronica sicura sembrerebbero essere quelli in cui è presente una qualche forma di supporto cartaceo (solitamente si tratta di una ricevuta che viene poi inserita in un’urna come avviene nelle elezioni tradizionali). Non è questo il caso del voto elettronico in corso di sperimentazione, che quindi è passibile di alterazioni.
In molti paesi europei, la votazione elettronica è già stata testata e accantonata, e a volte addirittura dichiarata incostituzionale, per via della sua insicurezza. Perché l’Italia non sta tenendo conto di queste esperienze e si sta avviando su una via complessa, estremamente cara e particolarmente fragile?
[di Anita Ishaq]