Monitorare l’Amazzonia da satellite, specie per quel che riguarda gli incendi, non sarà più compito dell’Agenzia brasiliana per la ricerca spaziale (Inpe). A farlo, su ordine dell’amministrazione Bolsonaro sarà invece l’Istituto Nazionale di Meteorologia subordinato agli interessi del Ministero dell’Agricoltura. E nonostante il governo affermi che la decisione non influenzerà il lavoro dell’Inpe, l’allarme di specialisti e ricercatori non si è fatto attendere. Di fatto, anche l’ultima Agenzia ambientale indipendente sopravvissuta è stata depotenziata.
Non dovrebbe sorprendere, d’altronde il presidente Bolsonaro è da sempre esplicitamente schierato a favore degli interessi del business agricolo. Così come lo è contro i diritti dei popoli indigeni e la salvaguardia dell’ambiente naturale col solo fine di conservarlo. Non a caso, è dal 2019 che il governo sta cercando di cambiare il sistema di diffusione dei dati sugli incendi e la deforestazione nel Paese. A quale scopo? Se i risultati delle analisi satellitari non fossero drammatici come lo sono in realtà non ci sarebbe motivo di limitare le attività di grandi aziende o quelle minerarie, ad esempio. Ma questa è solo un’ipotesi. È lecito chiedersi, tuttavia, che motivo abbia avuto Bolsonaro a esonerare il fisico Ricardo Galvão dalla carica di direttore dell’Inpe solo per aver difeso la veridicità dei dati diffusi dall’Agenzia. Due settimane prima del fatto, il presidente aveva affermato che le informazioni sulle azioni dei criminali in Amazzonia pubblicate dalla stessa erano false.
«La modifica della modalità di diffusione dei dati sugli incendi – ha dichiarato martedì scorso Galvão – è un altro modo per cercare di controllare le informazioni. L’Inpe, invece, è sempre stato un organo della scienza il cui unico scopo è quello di divulgare informazioni esatte». Pianificare azioni conservative e di ripristino, nonché agire direttamente sulle cause di incendio o deforestazione, non può infatti prescindere dalla disponibilità di informazioni precise e soprattutto fedeli alla realtà. Che l’Amazzonia sia sotto pressione non è però cosa nuova. L’ultimo rapporto del Science Panel for the Amazon, un ente Onu nato col fine di proteggere la foresta sudamericana, ha evidenziato come le specie amazzoniche a rischio estinzione siano oltre 10 mila e che più di un terzo della foresta pluviale è disboscato o degradato. Dati scoraggianti, confermati recentemente proprio dall’Inpe. Un loro articolo pubblicato su Nature ha dimostrato, avvalendo l’evidenza avanzata da una ricerca simile, che l’Amazzonia in alcuni settori emette più anidride carbonica di quanta ne assorba. Ogni anno – secondo lo studio – si stima che la foresta produca 1 miliardo di tonnellate nette di CO2.
Insomma, il quadro delineato dall’Agenzia sullo stato di salute dell’Amazzonia brasiliana è tutt’altro che roseo. Ma l’unico modo per agire e cambiare rotta è disporre di dati esatti. Solo un monitoraggio attento e non strumentalizzato potrà, infatti, tutelare la foresta tropicale più grande al mondo dal crescente rischio di incendi e disboscamento. Per fortuna, l’interesse nei confronti del ‘polmone verde’ del Pianeta è internazionale, non resta che confidare che eventuali manipolazioni vengano prontamente svelate.
[di Simone Valeri]