Succede. Nel significato corrente vuol dire “accade” o, con sfumature concessive, “può capitare”. Ma c’è qualcosa di banale, di ipocrita, di fatale in tutto questo. Succedere vuol anche dire “venire dopo”. Così si possono fronteggiare con lo stesso termine eventi come uno spiacevole incidente, che può appunto succedere, oppure il subentrare dell’erede dinastico alla morte del re o della regina. Il succedere, allora, equivale a prendere il potere, un potere lineare, prevedibile. Il succedere è comunque sempre ovvio, falsamente naturale, inevitabile.
Avviene. Anche questa parola ha le sue ambiguità. Ciò che avviene è legato al presente immediato, al presentarsi di qualche evento, di grande o scarsa importanza ma con una sua durata, richiede partecipazione emotiva. Ma “avvenire” è anche il dominio del futuro, di ciò che deve ancora verificarsi. “Venturus”, dicevano i latini, in riferimento a qualcosa che potrà avere esito più o meno favorevole. E “ventura” è di conseguenza la fortuna, ciò che augurabilmente dovrà avere luogo.
L’accadere, a sua volta, “cade”, come una stella, come un evento obliquo, qualcosa che precipita nel divenire, sta dunque in un presente gravido di tempi futuri, di cause e di effetti. Ricorda il clinamen di Lucrezio, l’influenza astrale, provvidenziale, incommensurabile.
Il tempo insomma non può essere detto con riferimenti assoluti: contiene nelle sue denominazioni, nelle sue espressioni e rappresentazioni qualcosa di relativo, di contingente, ma non soltanto. Il tempo è il dominio del polimorfico, della densità, della pluralità. “Tempus” in latino deriva dal greco “temno”, taglio. Tempo è pertanto il frutto di una divisione, di una o più soluzioni di continuità. E’ scansione, musica, sezione, misura.
Il tempo cambia di prospettiva se lo incrociamo con l’arte. Tu, arte, tu, tempo, “che sei da decifrare” (Paul Celan), “la memoria del tempo/ è piena di spade e di navi/ e di polvere di imperi/ e di rumore di esametri” (Jorge Luis Borges), “lunga specie del tempo, o la ventura/ portava certe sature memorie…/ e tu mungevi/ dalle stelle il sapere degli antichi” (Alda Merini).
L’affermarsi della scienza attraverso le tecniche ha affidato tragicamente il tempo all’idea di progresso, ai meccanismi di estrapolazione, di previsione, andando inevitabilmente a scommettere su quello che succederà, caricando di responsabilità chi c’è stato prima.
Lo stesso relativismo classico è stato esautorato: non si crede più che i medesimi fatti od oggetti vadano considerati da più punti di vista, per superare l’opacità del reale. Ma ci si affida ad anticipazioni avventurose, a molteplici ipotesi affrettate messe subito in rete, sminuendo ogni paziente capacità analitica. Così il potere è sempre di più potere di previsione, e conseguentemente di controllo, di anticipazione, di condizionamento.
La realtà è statistica, la politica diventa inutile se il possibile è offuscato. L’arte invece è figlia dei tempi arcaici, dove l’accadere era lo stupore del presente, lo sbocciare prima del raccogliere, il sognare prima del destarsi, l’ascoltare senza musicanti, il guardare senza illusioni. L’arte non è soltanto l’esercizio di uno speciale sapere, ma è ispirazione, l’arte è ancora una politica possibile. Succede/avviene: il tempo e l’arte
[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]