Secondo il Primo Ministro etiope Abiy Ahmed, premio Nobel per la pace, quella contro il Fronte Popolare di Liberazione del Tigrè (TPLF) sarebbe dovuta essere una guerra lampo. Dall’inizio degli scontri sono passati nove mesi, un lasso di tempo che ha visto schierati in campo eserciti di diverse fazioni, nonché innumerevoli soprusi sui civili.
I rapporti tra Governo e TPLF si sono deteriorati velocemente nel 2019 a seguito di brusche evoluzioni politiche che, mal digerite, sono degenerate al punto che i due movimenti politici si considerano reciprocamente illegittimi. A inizio del novembre 2020, uno scontro tra miliziani e esercito ha fatto scattare la scintilla di quella che ha presto assunto i tratti di una guerra vera e propria. Una guerra estremamente sanguinaria.
Si parla di contadini «macellati come polli», di saccheggi, di violenze sessuali e di una fame profonda che le Nazioni Unite catalogano senza mezzi termini come catastrofica. Una situazione comprensibile, visto che decine di migliaia di profughi hanno abbandonato case, campi e allevamenti per evitare di finire sterminati da un qualche plotone.
Tutte le parti coinvolte sembrano indulgere nelle brutalità, tuttavia è difficile comprendere con precisione cosa stia accadendo: il Tigré è stato accuratamente isolato, la regione non è più servita dalle rete di comunicazioni e dal servizio elettrico, mentre i rifornimenti umanitari hanno ripreso a circolare nell’area solamente da pochi giorni.
Ciò che è chiaro è che il TPLF stia portando avanti la sua conquista e che stia cercando di allargarsi nelle regioni di Agar e Amhara con l’intenzione strategica di occupare alcune delle tratte mercantili più importanti della nazione, vere e proprie arterie economiche da cui passano molte delle merci e dei rifornimenti in movimento da e verso il Sudan e l’Eritrea.
Proprio l’Eritrea e le armate dell’Amhara sembra stiano assistendo Abiy Ahmed nella lotta contro il TPLF, macchiandosi di crimini di guerra tanto efferati da colmare il fiume Tacazzè con decine di cadaveri appartenenti a detenuti sottoposti a fucilazione.
Il Governo eritreo non commenta, quello etiope archivia la faccenda come una propaganda diffamatoria, arrivando a suggerire che i miliziani si vestano deliberatamente con le uniformi dei militari stranieri pur di diffondere zizzania e frustrazione. Nel caso, la strategia ha funzionato perfettamente, visto che molti dei contadini del Tigré, un tempo alieni alla politica, stanno sempre più simpatizzando per il TPLF. La situazione sembra dunque pronta a degenerare ulteriormente.
Da parte sua, Abiy Ahmed ha dichiarato unilateralmente il cessate il fuoco, un gesto che potrebbe essere letto come un tentativo di risolvere la questione attraverso il dialogo, se non fosse che il Primo Ministro ha approfittato di questa tregua per lanciare una vera e propria chiamata alle armi, chiedendo che ogni cittadino partecipi alla guerra contro le milizie ribelli.
[di Walter Ferri]
Sarebbe una bella occasione per l’Italia per mostrare una propria iniziativa politica e pacificatrice.
Coi denari sche spendiamo per assisterli come profughi se ne potrebbero fare di cose.
Certo, visto il livello della nostra classe politica, mi rendo conto di parlare di fantascienza.