Pratiche di stordimento scorrette, pessime condizioni igieniche e mangimi ricchi di antibiotici. Sono solo alcuni dei lati oscuri che si celano dietro l’industria di salmoni. L’ennesima denuncia, viene da un’inchiesta di Animal Equality, un’organizzazione internazionale per la difesa del benessere animale. Gli attivisti, sotto copertura, hanno documentato quanto quotidianamente avviene in un macello scozzese di salmoni della The scottish salmon company. Quel che è emerso – a detta dell’organizzazione – è agghiacciante. I pesci, ad esempio, non vengono storditi nel modo corretto. E questo causa delle inutili sofferenze. Inoltre, la rimozione delle branchie, spesso – rivelano i video – viene effettuata prima, quando l’animale è pienamente cosciente.
Nel Regno Unito, ogni anno, vengono allevati e macellati fino a 77 milioni di pesci. Dopo Norvegia e Cile, la Scozia è, invece, il terzo produttore globale di salmone allevato. Ma quel che è pubblicizzato come un’eccellenza, nasconde pratiche in netto contrasto con il benessere animale. In particolare, viene denunciata l’assenza di una regolamentazione specifica per l’industria ittica. Infatti, seppur timidamente, per gli altri allevamenti qualcosa sta cambiando, mentre la tutela del benessere di milioni di pesci pescati giornalmente è ancora lontana. «Con il rilascio di queste indagini – ha dichiarato Alice Trombetta, direttrice di Animal Equality Italia – vogliamo dimostrare che il mercato della pesca industriale e degli allevamenti intensivi di pesce colpisce duramente il benessere dei pesci con conseguenze pesanti anche sulla salute dei consumatori, nonché per l’ambiente».
Le violenze nei confronti degli animali e le pessime condizioni di allevamento, infatti, non sono le uniche ombre del settore. Quel che preoccupa è ancor di più lo stato igienico-sanitario e gli inevitabili impatti ambientali. A rafforzare queste accuse ci sono, ancora una volta, le testimonianze raccolte e registrate da Animal Equality. In questo caso l’inchiesta si è focalizzata su un allevamento industriale di salmoni indiano. L’India contribuisce a circa il 6,3% della produzione ittica globale, ma il settore sta adottando pratiche deleterie per la salute pubblica, l’ambiente e i diritti umani, specie quelli dei minori. I bambini spesso lavorano in tali allevamenti ed «esposti a certe crudeltà – spiegano gli animalisti – perdono sensibilità nei confronti della sofferenza di altri esseri viventi, inclusa quella umana».
Gli allevamenti intensivi nascono con lo scopo di produrre tanto col minimo sforzo. Tanti animali vengono quindi ammassati in spazi ben al di sotto di quanto avrebbero bisogno. Come evidenziano le immagini registrate in India, quel che ne deriva è un aumento dello stress, dell’aggressività e delle patologie. Di conseguenza, per ridurre la trasmissione di malattie nell’allevamento, l’unico aspetto tra quelli elencati che potrebbe compromettere la produttività dello stesso, i pesci vengono alimentati con mangimi ricchi di antibiotici. Con il risultato che consumare alimenti provenienti dalla maggior parte degli allevamenti intensivi contribuisce ad aumentare l’antibiotico-resistenza nella popolazione. Una minaccia alla salute pubblica globale. Questo fenomeno deriva dall’adattamento cui i batteri vanno in contro a seguito di una sempre più intensa esposizione a farmaci concepiti per debellarli. Le comunità microbiche sono così via via meno suscettibili agli antibiotici e il rischio, già ampiamente sperimentato, è che molte patologie batteriche possano essere curate con difficoltà progressivamente crescenti. L’abuso medico di tali farmaci, è bene precisarlo, resta comunque la principale causa di antibiotico-resistenza. Non è da ignorare poi il passaggio di antibiotici dagli animali alle acque. L’impatto sulla salute dei fiumi è altrettanto drammatico. Senza contare lo spreco idrico: gli allevamenti ittici sfruttano grandi quantitativi d’acqua che provengono, nel caso indiano, da fiumi come Krishna, Godavari e Kaveri, riducendo così le disponibilità per l’agricoltura e la popolazione locale.
[di Simone Valeri]
Dovremmo cominciare a concepire i nostri mari come dei grandi allevamenti e la pesca come un prelievo controllato che preservi l’ambiente e masimizzi il risultato. L’Italia potrebbe essere un pioniere.
Sono metodi che adottano alcuni popoli “selvaggi” e che adottavano alcuni monaci dell’oscuro medioevo, che sicuramente non usavano antibiotici.
Certo per gente come quella che popola adesso Montecitorio e palazzo Chigi stiamo parlando di fantacienza.
Di chi fidarsi? di chi? Come capire qual’è il cibo migliore?