Se tutti gli abitanti di Barcellona scegliessero di bere acqua in bottiglia anziché quella del rubinetto l’impatto ambientale sarebbe migliaia di volte superiore. In termini di uso delle risorse, per la precisione, 3500 volte in più. È quanto ha dimostrato uno studio dell’Universitat Pompeu Fabra di Barcellona. L’analisi è stata condotta attraverso due modelli. Il primo, il Life Cycle Assessment, riguarda la valutazione dell’impatto ambientale del ciclo di vita di un prodotto: dall’estrazione delle materie prime allo smaltimento, passando per la lavorazione, il trasporto, la distribuzione e l’uso. Il secondo, l’Health Impact Assessment, misura invece le conseguenze sulla salute umana. Quindi, se tutti gli 1,35 milioni di abitanti della capitale catalana bevessero acqua confezionata – è emerso – le risorse necessarie per soddisfare la domanda costerebbero 83,9 milioni di dollari l’anno e porterebbero alla perdita di 1,43 specie animali. E la distruzione degli ecosistemi, rispetto alla condizione attuale, sarebbe 1400 volte superiore. Nonostante ciò, il consumo di acqua in bottiglia è andato ad aumentare significativamente negli anni. In primo luogo, per una percezione del rischio elevata e spesso distorta. Si ritiene, infatti, che l’acqua del rubinetto sia poco sicura o, comunque, che lo sia meno di quella in plastica. D’altra parte, poi c’è la costante pressione pubblicitaria dei vari marchi produttori. Un vero e proprio business che non ha nulla di sostenibile.
Un giro d’affari miliardario
Con oltre 200 litri pro capite l’anno, l’Italia è il maggior consumatore europeo di acqua minerale confezionata. Mentre a livello globale, veniamo dopo soltanto a Messico e Thailandia. Un consumo inarrestabile ed in crescita esponenziale a partire dagli anni ’80, quando quello pro capite si attestava intorno ad appena 50 litri annui. «Un giro d’affari stimato intorno ai 10 miliardi di euro all’anno – scrivevano nel 2018 Legambiente e Altreconomia – con un fatturato per le sole aziende imbottigliatrici che i rapporti di settore stimano in 2,8 miliardi di euro, di cui solo lo 0,6% arriva nelle casse dello Stato. Le aziende, infatti, pagano canoni che raggiungono al massimo i 2 millesimi di euro al litro (un costo di 250 volte inferiore rispetto al prezzo medio di vendita dell’acqua in bottiglia)». Un business miliardario a beneficio di pochi e a discapito dell’ambiente. Ad arricchirsi in Italia, infatti, ci sono 260 marchi distribuiti in circa 140 stabilimenti che imbottigliano gli oltre 14 miliardi di litri necessari a soddisfare la nostra domanda. E in particolare – come hanno evidenziato i dati AcquaItalia 2020-21 – gli 8 maggiori gruppi del mercato italiano – Nestlé Waters, San Benedetto, Acqua Sant’Anna, Ferrarelle, Rocchetta/Uliveto, Lete, Spumador e Montecristo – assorbono oltre il 70% del totale della produzione nazionale.
Inquinamento e crisi climatica
Il risultato è che, solo nel 2019 – ha evidenziato un rapporto di Greenpeace – sono stati prodotti oltre 10 miliardi di bottiglie in plastica. Di questi, tuttavia, solo 3 miliardi sono stati effettivamente riciclati. Il che significa che quasi 280.000 delle 460.000 tonnellate di bottiglie in plastica immesse al consumo ogni anno non viene riciclata. Di conseguenza, l’equivalente di 7 miliardi di bottiglie da 1 litro e mezzo viene, invece, incenerito nei termovalorizzatori e nei cementifici, smaltito in discarica o disperso nell’ambiente. Ed inoltre, di tutte le tonnellate riciclate, solo il 5% è stato destinato alla realizzazione di nuove bottiglie. Mentre il restante 95% ha generato imballaggi rigidi non alimentari e fibre tessili sintetiche. Un mercato che alimenta e amplifica il problema dell’inquinamento da rifiuti plastici e completamente incompatibile con la transizione ecologica. Il PET (polietilene tereftalato), il principale materiale costituente le bottiglie per l’acqua, è, infatti, totalmente dipendente dagli idrocarburi fossili. La sola produzione di un chilogrammo di bottiglie in PET genera 3,07 kg di anidride carbonica (CO2eq1). Le emissioni di CO2eq generate per la sola produzione delle bottiglie immesse al consumo, in Italia nel 2019, ammonterebbero quindi a 1,4 milioni di tonnellate.
Le alternative esistono
E tutto questo, nonostante la nostra acqua corrente sia tra le più sicure e salubri. L’84,8% dell’acqua erogata dagli acquedotti italiani è risultata di ‘ottima’ qualità. Questo perché la maggior parte proviene da falde sotterranee profonde, in parte, naturalmente protette. E l’87% dei consumatori si ritiene soddisfatto della qualità del servizio idrico. Come dicevamo, è però la percezione soggettiva del rischio a fare la differenza. Infatti, solo un italiano su tre si fida di bere acqua del rubinetto. Non che non ce ne siano le motivazioni. I casi di inquinamento della rete idrica non sono stati pochi, tuttavia, i controlli su questa sono rigorosi e periodici. E, soprattutto, in seno esclusivamente alle Autorità Sanitarie. Mentre per le acque confezionate i controlli da parte di queste ultime sono spesso affiancati dal Sistema di Autocontrollo delle aziende. C’è da dire però, in conclusione, che lo studio citato inizialmente ha anche stimato il rischio di esposizione ad uno specifico agente cancerogeno, il trialometano. Sebbene sia risultato che bere acqua in bottiglia riduca tale rischio, le conseguenze indirette sulla salute pubblica del maggior impatto ambientale sono con molta probabilità peggiori. Ed inoltre, tale aumentata esposizione potrebbe essere praticamente annullata semplicemente utilizzando uno dei tanti depuratori da lavello disponibili in commercio. Il marketing delle multinazionali dell’acqua non ha più appigli.
1: Unità di misura che esprime il contributo al riscaldamento globale di un gas serra rispetto alla stessa quantità di anidride carbonica (CO2).
[di Simone Valeri]
La mia piccola battaglia quotidiana: far bere alla moglie l’acqua del “bronzino” (rubinetto in genovese).
😀
Io ormai da un paio d’anni, prendo l’acqua dalla casetta comunale. Costa pochissimo e riempio bottiglie di vetro. Ho ridotto notevolmente il consumo di plastica.
A proposito di Barcellona,ci ho vissuto,e vi assicuro che l’acqua è inbevibile…forse migliorare il gusto aiuterebbe,nessuno ha voglia di bere candeggina
È vero! Ho un ricordo davvero terribile dell’acqua lì… Al mio rientro in Italia, ho gettato lo spazzolino da denti, perché aveva il gusto dell’acqua, un mix di cloro e candeggina con un odore pungente. Forse il business dell’acqua in parte è voluto, non risolvendo a monte questi problemi…