87 grandi aziende a rischio, 57 delle quali già chiuse o a forte rischio di chiusura. Non sempre per effettive crisi economiche delle aziende in questione, ma spesso per la scelta da parte dei dirigenti di delocalizzare la produzione in nazioni dove il costo del lavoro è più basso. In tutto, secondo una stima del Sole 24 Ore, sono tra 80mila e 100mila i lavoratori che rischiano di perdere il lavoro. Una situazione che trova una parte di causa anche nella decisioni del governo Draghi, che lo scorso 30 maggio ha deciso di non rinnovare il blocco dei licenziamenti che era stato varato dal Conte II per far fronte alla “crisi pandemica”.
Sul tavolo del ministero del Lavoro ci sono appunto le sorti di centomila famiglie. Non solo legate a maxi-aziende da tempo in crisi come Ita-Alitalia e l’ex Ilva, ma a una miriade di medie e grandi aziende specie del settore metallurgico, molte delle quali – dati alla mano – non si trovano affatto dinnanzi a difficoltà economiche. È ad esempio il caso della Whirlpool, che ha licenziato i 340 dipendenti dello stabilimento di Napoli nonostante i risultati del primo trimestre 2021 siano stati salutati dalla stessa multinazionale statunitense come «un successo». E nonostante i dirigenti del colosso degli elettrodomestici, appena due anni fa, raggiunsero un accordo con il governo italiano, ricevendo anche sovvenzioni statali, per rilanciare lo stabilimento di Napoli con un piano triennale di investimenti.
O come il caso della GKN, multinazionale britannica che si occupa di componenti destinate al settore automobilistico, che l’11 luglio scorso ha licenziato in tronco tutti i 422 dipendenti dello stabilimento di Campi Bisenzio (Firenze) con un avviso via mail nel quale diceva in poche righe di non presentarsi al lavoro il lunedì successivo. Modalità brutali che costituiscono non un caso ma sempre più una prassi. Come avvenuto ai 90 operai dipendenti della sede bolognese di Logista, azienda leader nella distribuzione di tabacco in Italia, i cui dirigenti per avvisare i dipendenti della perdita del posto di lavoro si sono limitati a inviare loro un messaggio WhatsApp, la sera di sabato 31 luglio scorso, con il seguente testo: «Da lunedì 2 agosto lei sarà dispensato dall’attività lavorativa. Cordiali Saluti».
Molte di queste aziende hanno semplicemente in programma di delocalizzare la produzione in altri paesi dove i salari dei lavoratori sono più bassi. Motivo per il quale servirebbe una norma contro le delocalizzazioni, come richiesto dai sindacati e proposto in Parlamento. Tuttavia il governo Draghi pare andare in altra direzione, con lo stesso presidente del Consiglio che ha esplicato la sua linea politica con lo slogan: «proteggere i lavoratori e non i posti di lavoro». Soluzione che per ora si sta avverando solo nella sua seconda parte, ovvero lasciare licenziare i lavoratori, senza che per questi siano state messe in campo nuove protezioni. Lo stesso ministro del Lavoro, il leghista Giancarlo Giorgetti, ha mostrato di essere molto più incline ad assecondare le richieste confindustriali rispetto a quelle delle organizzazioni dei lavoratori, specificando la sua contrarietà a porre paletti realmente incisivi all’interno della bozza di legge conto le delocalizzazioni, come le multe e il divieto a partecipare a bandi pubblici per le aziende che non rispettino la norma.