Il Mose, ossia l’enorme sistema di dighe mobili a scomparsa ideato per difendere la città di Venezia e la sua laguna dal fenomeno dell’acqua alta, potrebbe in futuro non essere in grado di svolgere efficacemente tale compito: è quanto si evince da uno studio, recentemente pubblicato sulla rivista Natural Hazards and Earth System Sciences, e condotto da un gruppo di lavoro coordinato da ricercatori dell’Università del Salento, dell’Istituto di scienze marine del Consiglio nazionale delle ricerche e dell’Università Ca’ Foscari di Venezia. Esso nello specifico ha ad oggetto una serie di proiezioni sull’innalzamento del livello del mare a Venezia, che sono state sviluppate nel tentativo di comprendere cosa accadrà nella Laguna entro il 2100. In tal senso, dallo studio si apprende che entro la fine del secolo la città potrebbe dover fronteggiare un innalzamento del livello del mare tra i 17 cm e i 120 cm in uno scenario realistico. Mentre, in uno scenario più pessimistico, i centimetri potrebbero divenire 180. Ciò in pratica, secondo gli scienziati, comporterebbe il fatto che nemmeno mantenendo il Mose costantemente attivo si potrebbe porre un argine realmente efficace atto a scongiurare catastrofiche alluvioni a Venezia.
Ad ogni modo però, dallo studio si apprende che l’ultimo scenario citato sia «improbabile», anche se comunque «plausibile con il forte scioglimento della Groenlandia e dell’Antartide». Ed tal proposito va ricordato quanto sottolineato da Davide Zanchettin, docente dell’Università Ca’ Foscari che ha partecipato allo studio, il quale ha precisato come a farla da padrone sia l’incertezza, poiché manca la comprensione di cosa accadrà con alcuni processi fondamentali.
Detto ciò, tralasciando la sua possibile inefficacia in futuro, va ricordato anche come il Mose sia da tempo al centro di polemiche. In tal senso, dopo decenni di progetti e lavori che hanno richiesto oltre 6 miliardi di soldi pubblici, l’opera non è ancora pronta, nonostante la data di consegna fosse stata fissata per il 2016. Da ricordare anche che ad occuparsi della costruzione del Mose è il Consorzio Venezia Nuova, unione di imprese e cooperative locali e nazionali che nel 2014 fu commissariato dallo Stato a causa di uno scandalo avente ad oggetto fondi illeciti e corruzione. Le indagini generarono l’arresto di diverse persone, tra cui l’ex ministro dell’Ambiente e delle Infrastrutture, Altero Matteoli.
Ciò ha ovviamente prodotto un ulteriore ritardo nell’ultimazione dell’opera, che adesso con ogni probabilità sarà conclusa e diverrà realmente operativa solo nel 2023. Lo si può facilmente dedurre dalle parole pronunciate dalla commissaria straordinaria per il completamento della stessa, Elisabetta Spitz, nel corso del convegno “Acque alte a Venezia: la soluzione MoSE” svoltosi nel 2020. «Sarà pronto il 31 dicembre del 2021, ma poi servirà un anno di avviamento». A tutto questo si aggiunga anche la attuale grave situazione debitoria del Consorzio, con la cassa integrazione dietro l’angolo e gli stipendi non pagati, il che ovviamente genera agitazione nei dipendenti delle imprese consorziate e di quelle esterne.
[di Raffaele De Luca]