In sole quarantotto ore sono state raccolte duecentomila firme per la proposta di referendum che prevede di modificare alcuni punti della legislazione sulla cannabis per raggiungere una reale depenalizzazione del consumo. Per rispettare i termini il referendum dovrà riuscire a raccogliere 500.000 firme entro il 30 settembre prossimo, obiettivo decisamente ambizioso, ma che pare raggiungibile dopo la partenza oltre le aspettative. Una testimonianza della grande attenzione pubblica sul tema e della volontà crescente di spronare la politica ad adottare provvedimenti volti a modificare l’approccio proibizionista figlio dell’era della cosiddetta “War on Drugs“. Per aderire al referendum cannabis legale, iniziativa del Comitato promotore che raccoglie diverse associazioni (Antigone, Forum Droghe, +Europa…) è possibile raggiungere l’apposito sito così da firmare online – se in possesso di SPID o della Carta di Identità Elettronica.
Il quesito referendario si pone tre obiettivi fondamentali: l’eliminazione del reato di coltivazione (rimarrebbero comunque in vigore la condotte di detenzione, produzione e fabbricazione per tutto ciò che non riguarda l’uso personale), la rimozione delle pene detentive per qualsiasi condotta legata alla cannabis (con l’eccezione dell’associazione finalizzata al traffico illecito) e l’annullamento della sanzione amministrativa che prevede il ritiro della patente per coloro in possesso della sostanza, ma la sanzione rimane comunque in vigore per chi guida in uno stato di alterazione psicofisica (dunque, sì ad averla con sé mentre si guida ma no, ovviamente, a guidare dopo averne fatto uso). Tre punti, quelli da rivedere, che fanno parte della legge 309/90 (il Testo Unico sulle sostanze stupefacenti e psicotrope). Le richieste mosse sono un esempio della necessità di superare un trentennio in cui è valso un approccio proibizionista e, com’è stato evidente, criminalizzante sulla cannabis. Basti pensare che le carceri pullulano di chi viene riconosciuto colpevole del reato di detenzione e spaccio, gran parte delle volte piccoli spacciatori o consumatori, seguendo un modello indifferenziato per qualsivoglia “droga”.
Con un tale approccio è stato riscontrato l’esistere di squilibri ma anche ingiustizie marcate da labili confini, mentre i tribunali si sono riempiti di chi ha violato l’articolo 73 della legge 309/90 (appunto, detenzione e spaccio) senza davvero ridurre il giro della criminalità organizzata, visto che i condannati per la violazione dell’articolo 74 della legge 309/90 (traffico) rappresentano solo una minima parte. Chi è, quindi, un consumatore abituale di cannabis – in Italia se ne contano più di sei milioni – si trova in un bivio: coltivare cannabis, rischiando il carcere, o finanziare lo spaccio illegale. Non solo, anche chi è autorizzato a usufruire della droga leggera per scopi terapeutici risente delle trafile burocratiche e problemi dettati da un forte proibizionismo di base. Allora, è giunto il momento per i cittadini di scegliere se appoggiare il quesito referendario per la depenalizzazione, che rappresenta, tra l’altro, un grande passo avanti verso una possibile, futura, legalizzazione della cannabis anche in Italia.
[di Francesca Naima]