Ci sono parole, suoni che superano i muri, reali e virtuali, senza fare troppo rumore. Ogni viaggio lascia mille punteggiature: orizzonti improvvisi, strascichi di venti e profumi, scorci come flash, lampi di sguardi.
Di un mese in Germania, ora che sono tornato, trattengo anche le soste dai musicisti di strada: i tre bielorussi con balalaika che ci omaggiano con arie napoletane, il maestro ucraino di fisarmonica che alterna Vivaldi e Bach con coloriture dodecafoniche, l’andino con la sua noiosissima arpa che a tratti sa di rivoluzione, i due slovacchi, improbabili saints marching in, glabri e insieme paonazzi alle trombe, il vecchietto sul ponte che soffia sotto tono nel suo strumento, la giovane violinista fresca di studi.
I gruppi degli ascoltatori itineranti allestiscono scenografie improvvisate, dicono che la strada è luogo creativo, come nelle commedie di Goldoni o nelle passeggiate romantiche, come nelle vicende narrate da Kerouac o nei film del nostro neorealismo.
Incontri di un mondo capovolto, nelle vie e nelle piazze, che va su e giù e che mangia sempre di più all’aperto, anche se piove, perché evidentemente non ha gli adeguati titoli sanitari per entrare nei locali.
Street food e musica: è vero, si tengono le distanze ma tutti, se siamo qui, è perché amiamo gli orizzonti marini, i panini di pesce, la vita all’aperto, le voci alte e chiassose. Che superano appunto i muri, gli artifici di un periodo storico che ci obbligherebbe a sentirci tutti estranei se non nemici.
Compagni invece di due minuti di festa sonora, l’inno variegato di una umanità che ha bisogno di fantasie ma che non vuole rinunciare ad ascoltare e a capire.
[di Gian Paolo Caprettini – semiologo, critico televisivo, accademico]