La retorica seconda cui è necessario investire nel gas naturale per evitare il deficit energetico dovuto alla transizione alle rinnovabili è una menzogna. È questa l’accusa mossa da ReCommon [1] verso il ministro Cingolani e l’azienda che gestisce l’elettricità nazionale, Terna. L’Italia, infatti – in accordo con i dati del Center for Research on Energy and Clean Air (Crea) – potrebbe da subito chiudere le centrali a combustibili fossili senza mettere a rischio le forniture di elettricità. Il ministro della Transizione Ecologica, non molto tempo fa, aveva invece ribadito [2] il concetto secondo cui il gas sarà l’ultimo degli idrocarburi ad abbandonare la scena. Questo perché – ha spiegato – rivestirebbe un ruolo da ‘ponte’ tra le fonti più inquinanti e quelle pulite, evitando black out nazionali legati alle fluttuazioni energetiche proprie delle rinnovabili. Ma le cose – secondo quanto evidenziato dal Crea – non stanno proprio così.
Secondo le analisi contenute nel documento, infatti, la nostra penisola potrebbe abbandonare la maggior parte degli impianti legati alle fonti fossili senza rischiare di lasciare al buio i cittadini. Ma non solo. Se lo facesse, in termini economici, ci guadagnerebbe anche. Il Centro di ricerca indipendente, allo scopo, ha pubblicato il rapporto “Ripe for Closure [3]: accelerare la transizione energetica e risparmiare denaro riducendo la capacità in eccesso di combustibili fossili”. In termini assoluti – è emerso – l’Italia occupa il secondo posto, dopo la Spagna, per eccesso di capacità di generazione installata. Un eccesso derivante, per l’appunto, dalle fonti energetiche fossili. Del quale, buona parte, è occupato dal carbone. «Anche considerando un legittimo margine di riserva del 15% per garantire la sicurezza delle forniture – spiegano gli esperti – vi sarebbe comunque un eccesso di 8,7 GW di centrali fossili per soddisfare il picco della domanda». Considerando che quelle a carbone dovrebbero chiudere i battenti entro il 2025, il report sottolinea come questo possa avvenire senza installare nuova capacità di generazione a gas. E inoltre, senza correre rischi, i lucchetti potrebbero andare anche a molte centrali petrolifere. Il tutto, per un risparmio nei costi fissi operativi e di manutenzione di 465 milioni di euro l’anno.
Ampliando lo sguardo a livello europeo, l’Italia potrebbe fare questo importante salto ecologico insieme ad altri otto paesi: Bulgaria, Repubblica Ceca, Germania, Paesi Bassi, Polonia, Romania, Spagna e Turchia. Nel complesso questi Stati – compresa l’Italia – hanno un eccesso di potenza installata di 48,8 GW e, per questo motivo, ad accumunarli è la possibilità che chiudano le centrali fossili senza pericoli. Specie, come dicevamo, per quanto riguarda quella più inquinante: il carbone. Non a caso, il 77% di questo surplus energetico deriva proprio da tale fonte. Bloccando immediatamente le attività implicate nella generazione di questo eccesso, queste nazioni potrebbero poi risparmiare, annualmente, quasi 2 miliardi di euro. Questo perché si tratta di impianti a tutti gli effetti inutili o, comunque, sottoutilizzati. Ciononostante – denuncia ReCommon – «in barba all’emergenza climatica, da noi il 57% dell’energia elettrica è ancora prodotta da fonti fossili, con il gas passato dal 40% del 2015 al 46% attuale. La tendenza è stata accelerata dalla sostituzione di 14 GW di centrali a carbone con impianti a gas, invece che con impianti ad energia rinnovabile e distribuiti sul territorio». Una tendenza confermata dalle decisioni [4] prese ultimamente dallo stesso ministro Cingolani. E sebbene giusto ieri lo stesso abbia dichiarato «puntiamo sul sole e sul vento, siamo gli Emirati del futuro», si spera che alle parole seguano i fatti.
[di Simone Valeri]