La Repubblica Popolare Cinese ha deciso di assumere una posizione netta nei confronti delle criptovalute, rendendole di fatto illegali in ogni accezione che non sia puramente cumulativa. Nove branche amministrative si sono dette pronte a punire chiunque operi con le monete digitali decentralizzate, mentre la Banca Centrale ha espressamente vietato ogni attività legata a Bitcoin e omologhi, ricordando alle aziende off-shore che non è mossa saggia avvicinarsi al popolo cinese.
Si tratta di una risoluzione netta, ma tutt’altro che inattesa: sono anni che la Cina si sta lanciando in grandi e piccoli interventi mirati a ostacolare la produzione, l’uso e lo scambio delle criptomonete. Questa draconiana svolta era pertanto già nell’aria, ancor più se si considera che nell’ultimo anno l’establishment cinese si sia assicurato di normare ogni sfaccettatura delle imprese digitali. Dai giganti dell’ecommerce agli influencer, passando attraverso i videogame, l’intero settore tecnologico della Cina si sta vedendo impartiti rigidi binari che permetteranno al Governo di riprendere il controllo di una situazione che stava minacciando di sfuggire di mano.
Le critiche al sistema economico cinese espresse dall’imprenditore tech Jack Ma nell’ottobre del 2020 sono state certamente uno campanello d’allarme per il Presidente Xi Jinping, tuttavia è facile intuire che una simile impostazione fosse nei piani della sua Amministrazione già a priori. La Cina sta infatti cercando di farsi un’idea chiara di come i soldi girino nel Paese e lo sta facendo impegnandosi massimamente per far sì che gli yuan digitali diventino una valuta di ampia diffusione, un proposito che è agli antipodi del concetto delle valute decentralizzate.
Alcuni analisti non mancano di notare che la repentina evoluzione delle politiche cinesi possa essere collegata anche all’impellente crisi energetica globale, o che il Governo si stia accanendo sulle criptovalute nell’ottica di compiere un primo passo verso la neutralizzazione delle emissioni di carbonio promessa entro il 2060. Più verosimilmente, questa evoluzione si inserisce nel progetto che vede lo Stato allontanarsi progressivamente dal mercato immobiliare per muoversi con forza sulla ricerca digitale. Uomini d’affari che non sanno sottomettersi all’establishment e sistemi di pagamento paralleli a quelli ufficiali rischierebbero di depauperare la Repubblica Popolare del suo potere amministrativo, insidia che il Partito non ha intenzione di tollerare, soprattutto ora che l’Occidente sta cercando disperatamente di mantenere il suo claudicante dominio digitale.
[di Walter Ferri]