domenica 22 Dicembre 2024

Il nuovo presidente del Perù sfida le multinazionali: accordi giusti o ve ne andate

Il governo guidato da Pedro Castillo, il maestro elementare figlio di contadini che vinse a sorpresa le elezioni peruviane del giugno scorso, inizia rispettando le promesse di cambiamento fatte in campagna elettorale, attaccando le posizioni delle multinazionali estrattive che lavorano nel Paese. Il governo del Perù ha infatti formalizzato la volontà di rinegoziare il contratto e gli accordi con il consorzio che sfrutta il giacimento di gas di Camisea, una delle più grandi riserve del Sudamerica, nella regione di Cusco. La posizione esposta dal governo è netta: o le aziende che sfruttano il gas naturale in Perù accetteranno la modifica dei contratti e l’imposizione di tasse più elevate, o dovranno affrontare l’espropriazione e la nazionalizzazione di giacimenti e impianti.

Lunedì 27 settembre il primo ministro Guido Bellido, e il ministro dell’Energia e delle Miniere, Iván Merino hanno consegnando una lettera ufficiale con le richieste del governo agli uffici di Lima di Pluspetrol (una delle aziende del consorzio). L’intento primario è quello di rinegoziare la distribuzione degli utili a favore dello Stato peruviano, ma nel caso la posizione delle aziende dovesse mostrarsi troppo rigida la minaccia della nazionalizzazione forzata è sul tavolo. Il primo ministro aveva già espresso ad agosto l’intenzione di voler rinforzare il ruolo dello stato in economia, in particolare nel campo del gas naturale e di progetti idroelettrici, annunciando l’intenzione di creare nuove compagnie statali.

Il presidente Castillo ha vinto le elezioni alla guida del partito di orientamento marxista Perù Libre, con un programma radicale che prometteva l’opposizione alla “dittatura del mercato” e un cambiamento profondo per invertire gli effetti che il Perù ha subito in decenni di liberismo sfrenato. In questa ottica da subito aveva posto nel mirino le multinazionali, denunciando che da quando le compagnie straniere avevano assunto il controllo dell’economia nazionale erano aumentati sfruttamento del lavoro e disuguaglianza sociale, facendo tornare il Perù a condizione di colonia. Con questa misura il suo governo cerca quindi di fare seguire i fatti alle promesse elettorali, ma la strada non sarà semplice: la maggioranza parlamentare è risicata e l’opposizione politica e le grandi aziende affilano le armi. Già prima di riuscire a insediarsi Castillo ha dovuto affrontare la minaccia del tentato colpo di stato della sua avversaria sconfitta alle elezioni, Keiko Fujimori, figlia dell’ex dittatore liberista e filo americano Alberto Fujimori.

Per ora Pablo de la Flor – direttore esecutivo della National Society of Mining, Oil and Energy (SNMPE), ha affermato che la proposta del governo “è un messaggio terribile che spaventerà gli investimenti”. Resta da vedere come i mercati “spaventati” e i loro alleati politici reagiranno, visto che il sud America – da Cuba, alla Bolivia passando per il Venezuela – deve fare i conti con una lunga storia di tentati colpi di stato contro governi che hanno cercato di cambiare l’ordine delle cose in economia, rimettendo lo Stato e i cittadini davanti agli interessi delle grandi aziende multinazionali.

In Sud America, come in molte altre parti del mondo, esiste un fenomeno delineato da un termine ben preciso: estrattivismo. Anche se In Italia e più in generale in Europa non ne sentiamo spesso parlare, nei territori ricchi di risorse minerarie l’estrattivismo è una pratica che si continua a verificare: accade quando vengono prelevate risorse da quel territorio (e spesso esaurite) a vantaggio di luoghi e persone diverse da quelle di origine. Solitamente queste persone sono gli azionisti delle multinazionali e i grandi fondi di investimento globale, che si arricchiscono a discapito dell’ambiente e delle popolazioni locali.

Questo fenomeno porta con sé conseguenze più o meno visibili. Si passa dalla sottrazione (con la forza) di spazio pubblico a vantaggio di interessi privati, al soffocamento del dissenso della popolazione. Una vera e propria repressione dei diritti democratici e costituzionali. Il Perù, nel 2019, ha registrato il maggior numero di omicidi (50 attivisti) proprio nel settore minerario. Di fatto con “estrattivismo” non si intende solo l’estrazione in sé delle risorse. Attorno al fenomeno si genera una bolla tanto grande da riuscire a contenere espropriazione, criminalizzazione, violenza istituzionale, lavoro precario, aumento della prostituzione, patologie da inquinamento, contaminazione del cibo e dell’acqua, mancanza di rispetto dei valori culturali del luogo. Gli interessi che il governo Castillo dovrà riuscire a vincere sono enormi.

[di Gloria Ferrari]

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