I militanti di Greenpeace si sono mossi su due fronti, nella giornata di ieri, per protestare in occasione del meeting delle multinazionali degli idrocarburi che ha avuto luogo a Ravenna. Una parte degli attivisti ha temporaneamente occupato la piattaforma “Porto Corsini”, al largo delle coste di Ravenna, mentre un secondo gruppo ha simbolicamente bloccato uno degli accessi al palasport che ospitava il Med Energy Conference Exhibition.
Alla conferenza, che si chiuderà il 30 settembre, hanno partecipato i giganti dell’industria dei combustibili fossili (Eni, Shell e Total), il sindaco di Ravenna e delegati di Libia, Egitto, Cipro e Italia. La protesta degli attivisti riguarda in particolare la scadenza della moratoria emessa nel 2019 dall’ex presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, che per più di due anni ha bloccato in Italia la ricerca di idrocarburi nelle zone marine e in terraferma. L’intenzione era fornire il tempo necessario ad un accurato esame del suolo, per valutare l’impatto delle estrazioni sulla fauna e studiare le caratteristiche geofisiche e vulcanologhe del terreno e dei fondali marini. Dopo due anni si è però a un nulla di fatto e, in assenza di un piano concreto, dal primo di ottobre le trivellazioni potrebbero riprendere indisturbate. Un Piano per la transizione energetica sostenibile delle aree idonee (PiETSAI) è stato presentato a luglio, con grande ritardo, ma il contenuto presenta evidenti lacune e l’assenza di una mappatura accurata delle aree geologiche. Il Piano ignora inoltre il tema della transizione, centrale nella retorica di Governo ma di fatto marginale nella pratica.
Indossando maschere con i volti di Draghi, Cingolani e il cane a sei zampe di Eni, gli attivisti e le attiviste hanno firmato un simbolico “Patto della finzione ecologica” e hanno esposto striscioni con scritte come “Basta bugie di Eni: nascondere CO2 non salva il clima” e “CCS: ennesima bugia di Eni”. L’intenzione di Eni sarebbe infatti realizzare il CCS (ovvero un sistema di cattura, stoccaggio e riutilizzo della CO2) a Porto Corsini, progetto per il quale ha previsto di investire circa un miliardo di euro, possibilmente utilizzando fondi pubblici. Il CCS porrebbe rimedio alle emissioni industriali di CO2, secondo Eni non risolvibili mediante la transizione a tecnologie elettriche o sostenibili. I giacimenti adriatici esauriti, in particolare quelli al largo di Ravenna, sarebbero riconvertiti in punti di stoccaggio dell’anidride carbonica. La produzione industriale di CO2 sarebbe quindi stoccata sottoterra, dopo essere stata compressa sino ad essere trasformata in stato liquido. Oltre alla difficoltà di prevederne le conseguenze ambientali, un tale sistema sembra essere costruito ad hoc per favorire gli interessi economici di Eni.
Gli attivisti di Greenpeace denunciano la manovra di greenwashing del Governo, che da un lato promette soluzioni per affrontare il cambiamento climatico e dall’altra appoggia ipocritamente le iniziative dei giganti degli idrocarburi. La moratoria sulle trivelle scadrà nelle prossime ore e, senza un adeguato aggiornamento del PiETSAI, il Governo potrebbe dare il via libera a nuove trivellazioni.
[di Valeria Casolaro]
Visto che la parola “green” è cosi inflazionata, mi chiedo come mai a questi attivisti sia permesso di bloccare una attività e di campeggiare perfino con le tende, e invece ad altri sia negata la possibilità di manifestare il proprio legittimo grido di libertà in una semplice piazza. Una grandissima ipocrisia.