Durante la protesta di venerdì scorso nel villaggio di Kufr Qaddoum, quattro palestinesi sono stati feriti da proiettili di metallo ricoperti di gomma e altre decine sono stati soccorsi in seguito all’inalazione di gas lacrimogeni. Il portavoce del villaggio, Murad Shteiwi, ha detto ad Al Jazeera che i soldati israeliani hanno invaso le case degli abitanti, mentre alcuni cecchini sparavano ai manifestanti dai tetti di alcune case.
Ma quella di Kufr Qaddoum non è “solo” una storia di violenza e di ordinaria occupazione come le altre che arrivano dalla Palestina. Kufr Qaddoum è un piccolo villaggio nel nord della Cisgiordania occupata, vicino alla città settentrionale di Nablus. Gli abitanti tengono proteste ogni fine settimana, negli ultimi 10 anni, contro l’esproprio di quasi 1.000 acri (405 ettari) di terra, necessario per far posto ad un insediamento israeliano. Tutto questo è legale? Per la legge no. Gli insediamenti in Cisgiordania violano l’articolo 49, paragrafo 6, della Quarta Convenzione di Ginevra, secondo la quale è vietato il trasferimento di cittadini di una potenza occupante in un territorio occupato. Citando testualmente: “La Potenza occupante non potrà procedere alla deportazione o al trasferimento di una parte della sua propria popolazione civile nel territorio da essa occupato”. E ancora. Infrangere gli accordi stabili dalla Convenzione costituisce un “crimine di guerra”, secondo quanto si legge nello Statuto di Roma del 1998 della Corte Penale Internazionale (articolo 8).
Ma Kufr Qaddoum resiste, anche di fronte alla chiusura delle principali strade che collegavano il villaggio ai paesi limitrofi, avvenuta fra il 2000 (durante la seconda Intifada) e il 2003 per mano dell’Esercito Israeliano. Da quel momento gli abitanti sono costretti ad usare strade alternative per raggiungere Qalqilia, la principale strada di Nablus, chiusa per impedire proprio ai palestinesi di avvicinarsi troppo al vicino insediamento israeliano di Qadumim. Inutile dire che le conseguenze di un’azione del genere hanno avuto (e hanno tuttora) un forte impatto sull’agricoltura, sull’educazione e sulla vita economica e sociale del villaggio.
Tant’è che la resistenza non violenta in Palestina è una pratica entrata a far parte della routine quotidiana, necessaria per difendere la propria terra e la sua libertà. Infatti i manifestanti non fanno parte di un esercito o di un gruppo armato organizzato: sono persone comuni, cittadini che popolano ogni giorno le strade di Kufr Qaddoum, che la vivono e che ne hanno costruito le fondamenta.
Solitamente il corteo pacifico comincia così: dopo la preghiera i manifestanti si radunano sulla quella stessa strada chiusa che conduce direttamente alla colonia israeliana. L’aria si riempie di densi fumi neri, esalati dai copertoni bruciati per mano dei palestinesi, per non essere riconosciuti dai soldati israeliani. Questi, invece, rispondono con una violenta pioggia di lacrimogeni. Non finisce sempre così. Non con i lacrimogeni. Negli anni i residenti palestinesi di Kufr Qaddoum hanno pagato molto cara la loro resistenza, con scontri spesso finiti nel sangue. A loro dire, almeno 170 persone sono state arrestate e diverse centinaia sono state colpite da proiettili veri e proiettili d’acciaio rivestiti di gomma.
Intanto il mondo rimane a guardare. Nonostante la legge dichiari illegali gli insediamenti israeliani, paesi come gli Stati Uniti, il Canada e la Comunità Europea stessa ignorano le responsabilità di Israele. Anzi, accade che tacitamente e con gesti quotidiani ne approvino nei fatti il comportamento. Come? Accogliendo i prodotti proveniente dagli insediamenti sugli scaffali dei negozi, ad esempio, etichettati da Israele come propri: equivale ad approvare tacitamente e indirettamente l’annessione di Israele.
I residenti palestinesi della Cisgiordania, costantemente sotto occupazione, non sono considerati cittadini. Ne consegue l’impossibilità di avere una voce politica, potere decisionale e, banalmente, possibilità di voto. Cosa che invece spetta ai coloni israeliani, molti dei quali si sono trasferiti in Cisgiordania proprio per prendere il controllo della terra palestinese. Intanto Israele è considerato da molti un paese democratico, con confini riconosciuti a livello internazionale. Contemporaneamente, però, mantiene un’occupazione militare della terra su cui vivono milioni di persone, negandogli una democrazia che gli appartiene di diritto.
[di Gloria Ferrari]