La progressiva crescita della popolazione mondiale ci ha piazzati davanti alla necessità di definire come amministrare la produzione, distribuzione e conservazione degli alimenti perché nessuno debba patire la fame. Una delle soluzioni che maggiormente colpisce l’attenzione pubblica è quella della cosiddetta agricoltura 4.0, ovvero il consolidamento di un’eventuale automatizzazione del settore agricolo che, almeno su carta, dovrebbe portare a una rivoluzione virtuosa.
L’applicazione dei robot in allevamenti e fattorie sa di avveniristico, quasi di fantascientifico, eppure già molte realtà all’avanguardia fanno uso di strumenti automatizzati di ultimissima generazione, macchinari che potrebbero sembrare insoliti, ma che rappresentano una finestra sul futuro del settore.
I robot al giorno d’oggi
Shay Myers, agricoltore dell’Ohio, Stati Uniti, è divenuto ormai un volto noto di TikTok proprio grazie alle sue forte denunce riguardanti l’inadeguatezza del sistema agricolo contemporaneo, un’inadeguatezza che è enfatizzata da quelle leggi trumpiane che hanno reso particolarmente difficile l’affidarsi a manodopera immigrata e stagionale.
Myers, in altre parole, non è in grado di trovare raccoglitori che siano disposti a lavorare per 16 dollari all’ora, con il risultato che la sua azienda si stia sempre più affidando a soluzioni radicate nella robotica.
Nello specifico, l’imprenditore si è dimostrato particolarmente soddisfatto dall’estirpatore di erbacce prodotto dalla Carbon Robotics, uno strumento da più di quattro tonnellate che si muove da solo per i campi di cipolle, incenerendo con un potente laser ogni filo d’erba che risulti fuori posto. Uno strumento prezioso, se si considera che diverse nazioni USA stanno venendo a patti col fatto che l’abuso di diserbanti sia dannoso per la salute dei consumatori.
Non deve sorprendere se il mercato degli “agrobot” – i robot agricoli – stia dunque esplodendo proprio grazie agli automi erbicidi, i quali vengono ormai sviluppati in ogni angolo del globo. Parallelamente ci sono ditte che si focalizzano invece sul sopperire alla carenza di lavoratori, ditte quali la canadese Abundant Robotics e la spagnola Agrobot, le quali hanno ideato strumenti che sono capaci di raccogliere rispettivamente le mele e le fragole.
Non tutti i robot sono però pensati per la campagna: stanno nascendo anche tutta una serie di apparecchi pensati deliberatamente per ambienti più controllati e asettici, ovvero per le serre e per le coltivazioni al chiuso. Esempi d’efficienza in questo settore ci vengono offerti dall’israeliana MetoMotion, la quale è ormai esperta nel costruire robot coltivatori di pomodori, e la californiana Iron Ox, la quale ha invece creato uno scanner 3D in grado di intercettare immediatamente la presenza di parassiti
Le cose che non vanno
Pur tenendo da conto tutti i risvolti positivi, l’idea che i campi siano lasciati nelle “mani” di un manipolo di strumenti meccanici automatizzati solleva un’ampia gamma di insidie. I benefici economici sono palesi, tuttavia è difficile prevedere come il tutto possa incidere sulla sostenibilità sociale, ovvero c’è da temere che la scomparsa di alcuni ruoli professionali sottopagati verranno sostituiti da nuove professioni tecniche a loro volta mal retribuite.
Un stravolgimento di questo genere sfocerebbe banalmente in una maggiore instabilità professionale che andrebbe a colpire soprattutto i cosiddetti ceti bassi, fomentando le disparità e intensificando quelle criticità mai debitamente affrontate del nostro corrente sistema economico.
Rimanendo nella dimensione puramente finanziaria, non è neppure certo che l’agricoltura 4.0 sia di genuino beneficio ai contadini. Sebbene gli strumenti robotici a disposizione oggigiorno siano perlopiù acquistabili a prezzi in linea con i costi di un potente trattore, le ditte produttrici sembrano interessate a incanalarsi verso un modello economico più affine al “noleggio”, cosa che permetterebbe loro di ottenere il monopolio nella gestione dei servizi di raccolta.
Gli agricoltori potrebbero diventare succubi di aziende che in qualsiasi momento saranno in grado di cambiare i piani commerciali messi sul tavolo, magari intavolando inquadramenti contrattuali cuciti su misura sulle disponibilità di ogni azienda specifica. Una prospettiva non inverosimile, se si conta che, con la giustificazione del voler migliorare il proprio servizio, le aziende tech del settore stanno già adoperando i propri robot per raccogliere informazioni sulle coltivazioni di tutto il mondo.
Ultimo, ma non ultimo, non è neppure detto che l’implementazione robotica sia in grado di far davvero bene all’ambiente. Formalmente, l’ottimizzazione della filiera contadina dovrebbe garantire standard di vita migliori riducendo nel mentre sprechi e inquinamento, tuttavia perché la rivoluzione agrorobotica possa effettivamente prendere piede sarà prima necessario che le strumentazioni dedicate siano ulteriormente affinate.
Cosa vuol dire? Vuol dire che ci sono buone possibilità che le singole componenti degli agrobot finiscano con il necessitare materiali che sono dannosi per l’ambiente sia in fase di raccolta che in fase di smaltimento, un’insidia in cui è già incappata l’industria dell’automotive elettrico.
Non c’è da perdere la speranza
Le potenziali tragedie che attanagliano l’agricoltura 4.0 sono evidenti, tuttavia la consapevolezza delle possibili criticità non dovrebbe spingere ad abbracciare una retrograda filosofia luddista, ma a lavorare perché le evoluzioni tecnologiche si muovano verso orizzonti virtuosi.
Parallelamente alle trovate imprenditoriali, esistono tutta una serie di soluzioni che nascono e vengono sviluppate perlopiù in ambiente accademico e che vanno a sondare le possibilità offerteci da intelligenze artificiali facilmente programmabili.
Particolarmente degni di nota sono il Tanjiawan Cloud Agricultural Experimental Site cinese e il sistema d’irrigazione progettato dal centro di ricerca e sviluppo di Arava, realtà che hanno sfruttato la raccolta dei dati sull’umidità del suolo per provvedere a una distribuzione dell’acqua che sia mirata e minuziosa. Gli sprechi d’acqua sono stati pressoché azzerati, al punto di rendere fertili anche i territori più aspri e inospitali.
Un esempio degno di nota per la sua alta accessibilità ci viene fornito dalla Russia, nazione che vede buona parte delle sue coltivazioni in mano a contadini tutt’altro che avvezzi all’uso di strumentazioni hi-tech. In quest’area del mondo possiamo trovare progetti quali il Cognitive Agro Pilot, invenzione che ha abbracciato ed evoluto le avanguardie informatiche dei tempi del Soviet per intavolare una semplicissima rete neurale capace di assistere i contadini nella mietitura dei campi attraverso una videocamera posta sul cruscotto dei trattori.
L’idea di fondo è molto semplice: gli agricoltori sono inclini a piccoli margini di errore umano – soprattutto perché la loro attenzione è incentrata perlopiù sull’assicurarsi di non causare danni al mezzo scontrandosi contro a un sasso o scivolando in un fosso -, margini di errore che verrebbero attenuati non poco dall’implementazione di un co-pilota artificiale. Gli aggiustamenti minori alla traiettoria dei veicoli non comporterebbero certamente delle scenografiche rivoluzioni agricole, tuttavia una variazione tanto minuta potrebbe sviluppare immense differenze, sui grandi numeri.
Più in generale, le intelligenze artificiali possono dimostrarsi utili nel definire quali siano le sementi più adatte a un determinato suolo, nel monitorare lo stato di salute delle piante o nello stimare le evoluzioni meteorologiche di una determinata area geografica. Si tratta di strumenti analitici certamente meno scenografici di bracci meccanici installati su cingolati, ma si dimostrano nondimeno utili nel dar vita a un’“agricoltura di precisione” capace di migliorare l’ecosostenibilità e la resa dei raccolti.
Siamo ad un bivio
Risulta lapalissiano sottolineare che la carenza di lavoratori registrata da Shay Myers e da molti altri imprenditori non sia tanto legata alla carenza di manodopera – basti dare un occhio ai tassi di disoccupazione -, quanto al fatto che le condizioni di lavoro siano tutt’altro che idilliache e che lo stipendio non sia in linea con i costi della vita (in Ohio bisogna guadagnare circa 15 dollari per mantenersi una casa in affitto).
Raccoglitori, camerieri, camionisti e molti altri mestieri si trovano a vivere sull’ultimo gradino di una piramide sociale che fa del dumping salariale l’arma con cui fomentare la tossica corsa alla concorrenzialità economica. Alcuni vorrebbero perpetrare questa visione distopica del mercato automatizzando quei ruoli che risulta finanziariamente sconveniente affidare agli esseri umani, tuttavia le dinamiche dell’agricoltura 4.0 non sono ancora state formalizzate e v’è ancora la speranza che Governi e comunità di tutto possano mettere da parte la cupidigia dei singoli per favorire il bene dell’intera popolazione.
[di Walter Ferri]