Quattro anni di carcere al più agguerrito dei trafficanti di cuccioli di ghepardo. Questa la storica sentenza pronunciata in Africa contro “Cabdi l’Animale”, definito tra i peggiori commercianti illegali di felini di tutto il continente. Ad emanarla è stato un tribunale del Somaliland, Stato non riconosciuto autoproclamatosi indipendente dalla Somalia nel 1991. Una democrazia estremamente povera, ma paradossalmente efficiente, ha così dichiarato guerra alla tratta di ghepardi. Nonostante la conservazione delle specie selvatiche sia tutt’altro che prioritaria per i suoi abitanti. Anzi, per una piccola nazione indipendentista fondata sull’agricoltura di sussistenza – e le rimesse dall’estero- i grandi predatori sono solo che una minaccia. Tuttavia, una capillare sensibilizzazione degli allevatori e dei sani principi ecologici stanno facendo la differenza.
In tutta l’Africa sono ormai meno di 7 mila i ghepardi adulti. La maggior parte di questi, tra l’altro, vive al di fuori di aree protette ed è quindi maggiormente esposta al contrabbando. Nonostante vietato dal 1975, sono stati almeno 3.600 i ghepardi venduti illegalmente tra il 2010 e il 2019. E il Somaliland, suo malgrado, si è ritrovato ad essere crocevia di questo abominevole mercato di cuccioli. La sua condizione politica, nonché la sua posizione geografica, infatti, hanno fatto sì che la rotta verso i ricchi acquirenti del Golfo Persico fosse facilitata. Almeno fino a poco fa. «Pur essendo un paese giovane ed emergente, non vogliamo veder soffrire gli animali per via del commercio illegale», ha dichiarato la ministra dell’ambiente e delle politiche agricole. E alle parole, cosa non sempre scontata, hanno seguito i fatti. Con le poche risorse a disposizione – non essendo riconosciuto da altri Stati, il Somaliland non può accedere a fondi esterni – e in collaborazione con il ministero dell’interno, l’esercito e la guardia costiera, i controlli sono stati triplicati ed hanno portato ai primi frutti. Emblematica, dicevamo, la detenzione di Cabdi Xayawaan. L’uomo, ricco, ben radicato e di notevole influenza politica, è stato incastrato da soffiate locali culminate in un blitz che ha portato al suo arresto e alla salvezza di cinque cuccioli di ghepardo. La vera novità è stata però la sentenza: quattro anni, tra le più severe mai pronunciate per reati di questo tipo.
Salvare i ghepardi dall’estinzione, però, non può dipendere solo dal Somaliland. Fino alla fine di giugno di quest’anno, sono stati almeno 150 gli annunci di ghepardi in vendita. A comprarli, perlopiù ricchi magnati arabi che non esitano a sbandierare i loro ‘trofei’ sui loro personali profili Instagram. Da sempre simbolo di eleganza, il ghepardo è ora confinato ad oggetto di sfarzo ed ostentazione della ricchezza. Per scoraggiare la tratta illegale, gli Emirati Arabi hanno ad esempio vietato, nel 2016, il possesso di animali pericolosi, tra i quali i ghepardi. Sebbene la pena includa il carcere fino a sei mesi e multe fino a 136 mila dollari, sono ancora in troppi a possederli. Molti sembrerebbe si appellino ad una scappatoia normativa, ovvero, l’eccezione al divieto per centri di ricerca, parchi naturalistici e zoo, anche privati. Insomma, fintanto che ci sarà qualcuno intenzionato a comprarli, ci sarà qualcun altro disposto a scovarli dalle tane per contrabbandarli. Se l’importanza del patrimonio faunistico l’ha capita il povero Somaliland, si spera – ma non c’è da giurarsi – che possa fare altrettanto il ricco mondo arabo.
[di Simone Valeri]